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Poe alle Stanze Segrete. Le prigioni della perversione
Edgar Allan Poe (Boston 1809 - Baltimora 1849) alle Stanze Segrete sarebbe già un titolo per una pièce di teatro, soprattutto darebbe subito una prospettiva piuttosto precisa, magari senza il sostantivo “stanze” ma solo “segrete”, per sottotitolare compiutamente questo spettacolo, che si svolge nel teatro or ora nominato e diretto da Ennio Coltorti. Fino al 5 dicembre 2010, la compagnia diretta da Andrea Teodori porta in scena la lettura recitata di tre racconti del maestro del terrore americano, leggermente riadattati ma sostanzialmente conformi agli originali, per testo e rappresentazione.
Tre oggetti sono appesi in alto a ricordarci dei delitti che i tre attori ci andranno a confessare sotto i nomi inventati di Edgar Vance, Carl Ruhr, Lucy Caine (non sono sicura della grafia), interpretati rispettivamente da Sebastiano Gavasso, Diego Migeni e Sofia Vigliar. Tutti e tre in una “segreta”, ovvero in una prigione, ad attendere la loro esecuzione, per il delitto commesso e ampiamente confessato. Potremmo infatti cominciare proprio dal terzo di questi racconti, che inizia come una sorta di breve saggio, “Il capriccio del perverso” (The Imp of the Perverse, pubblicato per la prima volta nel Graham’s Magazine nel luglio 1845), interpretato da Sofia Vigliar, che dona la chiave di volta per leggere i tre racconti inscenati dagli attori. Dopo un’introduzione alla frenologia (nota 1), descritta come scienza che studia i “prima mobilia”, i primi moventi per le azioni degli esseri umani (“In the consideration of the faculties and impulses - of the prima mobilia of the human soul”, in orig.: cfr. concetto tolemaico-scolastico del primo movente come primo dei novi cieli, senz’astri, entro l’empireo che girando con moto velocissimo comunicava moto e luce ai cieli e agli astri sottostanti, come il mezzo diretto tra Dio e il creato), si passa ad annoverare un’azione non inclusa e non determinata da questi impulsi o moventi. L’azione non motivata è:
“come un innato e primitivo principio dell’azione umana, qualcosa di paradossale, che possiamo chiamare perversità, sebbene avremmo bisogno di un termine più specifico. Intendo infatti, un mobile senza un motivo, un movente immotivato” (orig. “as an innate and primitive principle of human action, a paradoxical something, which we may call perverseness, for want of a more characteristic term. In the sense I intend, it is, in fact, a mobile without motive, a motive not motivirt” , trad. mia).
Nella parte di Lucy Caine per “Il capriccio del perverso”, Sofia Vigliar interpreta un'insegnante che uccide il proprio marito (nel racconto di Poe è un innominato narratore che uccide ed eredita le sostanze della propria vittima, senza peraltro specificare il grado di parentela, con un leggero adattamento del racconto). Lo strumento è una candela di sua preparazione, - la cui idea proveniva dalla lettura di alcune memorie tra le quali la morte di una certa Madame Pilau, uccisa proprio in quel modo – intrisa di veleno, lasciata sul comodino del marito. Un delitto perfetto che la convince di essere completamente al sicuro, e la conduce a riflettere che solo “un’aperta confessione del delitto” l’avrebbe potuta incolpare dell’assassinio. È presto detto: la protagonista confesserà per intero il suo delitto:
“Avevo avuto già precedenti esperienze di queste fitte di perversità, (…) e ricordo bene che, in nessuno di questi casi, resistetti con successo ai loro attacchi” (in orig. "I had had some experience in these fits of perversity, (…) and I remembered well, that in no instance, I had successfully resisted their attacks", trad. mia), senza tralasciare alcun dettaglio.
Nel secondo racconto, "Il cuore rivelatore" (The Tell-tale Heart, pubblicato nel periodico The Pioneer nel gennaio 1843), Sebastiano Gavasso ci porta con la sua “lampada”, l’oggetto appeso al di sopra delle nostre teste, dentro l’occhio della sua vittima: “l’occhio azzurro opaco” di un vecchio che descrive il suo persecutore. Quell’occhio che lo insegue dappertutto è il “movente” del suo assassinio: una sorta di correlativo oggettivo dell’occhio di Escher (The Eye, 1946), che contiene un teschio riflesso nella pupilla che lui stesso descrive come “colui che vede tutto” (“the one who watches us all”), la morte cui siamo condannati tutti, da cui fuggiamo e da cui siamo nondimeno attratti.
L’occhio è l’oggetto su cui il narratore proietta le sue paure, lo tormenta, e che lo condurrà di notte ad infilarsi nella camera di questo vecchio per uccidere quell’occhio e non lui. L’occhio giudicatore che vedeva riflesso era il suo, che implacabile e per protervia condurrà gli investigatori a farlo scoprire, l’occhio che si tramuterà in un battito, sempre più forte: la sua vittima rintoccherà quel suono solo per le sue orecchie, e ciò basterà agli investigatori per individuare dove ha sepolto il cadavere.
Il terzo racconto, "Il gatto nero" (The Black Cat, pubblicato il 19 agosto 1843 su The Saturday Eveving Post) è recitato da Diego Migeni: il narratore, anche qui in prima persona come la stragrande maggioranza degli inaffidabili narratori poeiani (la prima persona implica una visione parziale dei fatti, determinata dal coinvolgimento nell’azione e nella narrazione), uccide il suo gatto nero preferito di nome Pluto, poi la moglie, nascondendola dietro un muro della casa. Bisogna sottolineare che il narratore è un alcolista e che prima di allora amava gli animali. Lui stesso descrive queste azioni come “perversità”, rendendosene consapevole, racconta così l’atto di uccidere il gatto nero ad una forca:
“Questo spirito di perversità, lo giuro, giunse al mio completo abbattimento. Si trattava di un imperscrutabile desiderio dell’anima di torturarsi – di violentare la sua stessa natura – di perpetrare il male per il male.” (in orig. "This spirit of perverseness, I say, came to my final overthrow. It was this unfathomable longing of the soul to vex itself — to offer violence to its own nature — to do wrong for the wrong’s sake only", trad. mia).
Il male per il male, è ciò che annienta i personaggi e li condanna tutti all’esecuzione, il motivo immotivato della perversione, perché anche quest’ultimo, - il cui simbolo ricalca proprio la sua pena, ovvero la forca con cui ha soffocato il suo gatto, - si è reso colpevole ed ha confessato il suo delitto per protervia. Battendo sulla parete divisoria tra lui e le sue vittime, dove era rimasto intrappolato un altro gatto, nero come il primo e con una grande macchia bianca a forma di capestro sul petto, sarà lui ad indicare, con il suo lamento, dove cercare le vittime della perversione.
Note
1. Partendo da studi sulla misurazione del cervello umano, la frenologia, pseudoscienza diffusasi soprattutto tra 1810 e 1840, implica che le funzioni mentali derivino ognuna da zone particolari del cervello e che il cranio si conformasse alle loro proporzioni, differenti per ogni individuo.