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Scroscio ovvero Italian Psycho. La parodia angosciosa dei giovani adulti
La musica che accoglie Scroscio di Eleonora Danco in scena all’Ambra Iovinelli è la tecno solo acustica. Sullo sfondo un barattolone di crema dalla quale esce la sola protagonista, regista ed interprete di tutto il delirante monologo che attanaglia lo spettatore per circa un’ora e mezza.
La prima parte è piuttosto ostica e presenta sé stessa come una donna di 38 anni, disoccupata, ancora a casa coi genitori ai quali ruba soldi (pochi dalle borse e dai portafogli) in continuazione. Insieme allo spalmarsi di crema ed a lavarsi, sono le azioni reiterate ed ossessive di una figlia non-figlia e non ancora donna che non ha idea di cosa fare della sua vita. Passa da una relazione effimera all’altra, soggiace agli estri del momento e finisce per inscenare un monologo interiore con le sue stesse voci di dentro, alle quali a volte dà retta, a volte no.
Un profilo quello che sceglie Eleonora Danco difficile da digerire ed in cui lei stessa inciampa più volte in un canovaccio assemblato anche al momento o ripreso per la coda. Sullo sfondo, ai due lati del palco, i due genitori ai quali si rivolge senza mai far proferire loro parola: Raffaele Castagna e Livia Velani, fantasmi che lei non riconosce se non attraverso il suo costrutto dialettico monologico.
La seconda parte è più ironica e meno stabile, movimentata da digressioni sceniche provocate dai flashback di quando lei aveva nove anni oppure era adolescente: quello che ritrae è sempre però la monolitica bardatura borghese che sottende a tutta la sua educazione ed in cui i suoi genitori come gli altri personaggi evocati, appartengono pedissequamente ed in cui anche lei resta avviluppata.
L’assenza di senso e di domande congiunta all’asserzione continua di una personalità che non trova la sua dimensione od il suo sfogo espressivo, rendono cinica e fredda oltreché rabbiosa ed impotente la protagonista, ritraendo forse un tipo di perbenismo borghese da quartieri medio-alti smaccatamente provinciale.
La parodia delle ossessioni dei giovani-adulti oggi quasi tutti a casa coi genitori e privi di autonomia, soprattutto se scelgono di non accontentarsi del solito impiego sottoqualificato e annichilente (e raccomandato), è al completo. Eleonora Danco sa muoversi sul palco animalescamente, e caoticamente attrae l’attenzione, nonostante il testo sia privo di un vero spessore se non tristemente cronachistico, e presenti caratteristiche simili alla valanga pubblicitaria (e densa di stereotipi tipicamente americani) di Brett Easton Ellis nel suo American Psycho.
La scelta musicale di Marco Tecce spazia dalla tecno della prima parte passando per gli anni ’70 fino agli anni ’80 che si riverberano soprattutto nella parte in cui Danco recita da adolescente.