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Lo specchio dentro il quadro. L’Arlecchino di Picasso
La formula di esporre un solo dipinto, di grande valore artistico e culturale, è quella scelta dal Gruppo “Gallerie d’Italia” per far accendere i riflettori sui suoi musei. Il progetto “Gallerie d’Italia” riunisce i siti museali creati dalla Banca Intesa –Sanpaolo in splendidi palazzi storici ubicati nel cuore di tre città: Milano, Vicenza e Napoli.
Sono stati tolti dalla loro antica destinazione bancaria per diventare poli di attrazione dell’interesse del pubblico per l’arte. Ospitano, anche, un prezioso materiale archivistico eredità dei circa 250 istituti bancari, di varie regioni italiane, che sono confluiti nel Gruppo. Vi si propongono collezioni permanenti e mostre temporanee, iniziative culturali e scientifiche, programmi musicali e laboratori didattici. Nel complesso le collezioni di Intesa-San Paolo (dai reperti archeologici ai dipinti del Novecento) raccolgono circa 20.000 opere d’arte. Di queste, 10.000 sono di effettivo interesse storico e culturale.
Il polo espositivo di Milano comprende le Gallerie di Piazza Scala, con un progetto denominato “Cantiere del ’900”, e i palazzi sette-ottocenteschi Anguissola e Brentani, situati tra via Manzoni e via Morone, dove sono esposte 197 opere del XIX secolo in un percorso intitolato “Da Canova a Boccioni”. Il vicentino Palazzo Leoni Montanari, prestigiosa dimora barocca di fine Seicento, espone circa 140 icone russe e una preziosa raccolta di 40 dipinti del Settecento veneto. A Napoli – all’inizio di via Toledo – è ubicato il seicentesco e fantasmagorico Palazzo Zevallos Stigliano che espone - su di una superficie di 900 mq. - un gruppo di vedute sette-ottocentesche della città partenopea (opera di Gaspar van Wittel, Anton Sminck Pitloo, Giacinto Gigante, Domenico Morelli) insieme a splendidi dipinti del ‘600 e del ‘700. Importante è la sala dedicata alle opere scultoree e grafiche di Vincenzo Gemito. Punto focale della raccolta napoletana è, però, il celebre “Martirio di sant’Orsola” (1610), l’ultimo e drammatico dipinto di Michelangelo da Caravaggio. Vi si raffigura la santa bretone del IV secolo che, avendo rifiutato di concedersi ad un principe barbaro, viene da lui trafitta con una freccia nel petto.
Pablo Picasso (1881-1973) è il secondo protagonista delle mostre temporanee della Galleria di Palazzo Zevallos Stigliano a Napoli. Si ammira il capolavoro Arlecchino con specchio proveniente dal museo Thyssen-Bornemisza di Madrid cui andrà, in prestito temporaneo, l’opera di Caravaggio. Il dipinto di Picasso è stato realizzato nel 1923 e fa parte del nuovo segmento figurativo del pittore. Nell’esposizione l’opera è affiancata, per la collaborazione del Teatro di San Carlo, dai costumi realizzati, nel 1986, sui bozzetti originariamente disegnati da Picasso per il balletto Pulcinella di Igor Stravinskij nel 1920.
Durante e dopo la Prima Guerra Mondiale, molti artisti intesero di reagire al caos e al nichilismo che la guerra aveva disseminato in Europa. Tra questi Pablo Picasso che nel 1917 intraprese, partendo da Parigi insieme a Jean Cocteau, un viaggio in Italia che ebbe per oggetto lo studio dell’arte classica, della pittura del Rinascimento e artisti come Raffaello e Michelangelo. Un influsso lo ebbero anche pittori italiani contemporanei come De Chirico e Severini. Tutto ciò avrebbe comportato, per Picasso, un momentaneo abbandono dello spirito avanguardistico del cubismo.
Il dipinto «Arlecchino e lo specchio» in mostra a Napoli – realizzato nel 1923 come abbiamo detto - ha risentito di tutte queste suggestioni. La tela misura cm 81 x 100 e, anche se il titolo e la foggia del cappello assimilano il soggetto ad Arlecchino - come per altri quadri del tempo, il vestito evoca piuttosto gli acrobati o i clown e i giocolieri del circo. Il volto – insieme vivace e malinconico - è riferibile a Pierrot. Tale contaminazione di maschere riassume in un’unica metafora sia gli artisti del circo – generosi e spericolati intrattenitori del pubblico – sia la condizione del pittore: al tempo stesso emarginato e protagonista. La raffigurazione dello specchio dentro il quadro – Arlecchino lo usa per sistemarsi il copricapo – è tipico espediente barocco, e potrebbe alludere alla solitudine autoreferenziale di cui è vittima la pittura in quel periodo del ‘900. Alla fine del 1923, Picasso avrebbe trovato nuovo slancio creativo e avrebbe avviato la stagione pittorica delle nature morte del cosiddetto «cubismo curvilineo».