Supporta Gothic Network
Vittoriano. Impressionisti tra le muse
Gli Impressionisti a Roma sono di casa, lo sappiamo, gli italiani, e noi romani in particolare, siamo grandi amanti di quest'ultimo squarcio di Ottocento che ha rivelato a noi come a tutto il mondo, un nuovo indirizzo nell'arte, ed il nostro interesse va rinfocolato e approfondito con nuove mostre.
Quest'ultima appunto, che dal Museo d'Orsay, casa madre per i nostri aimés français, ha raggiunto di nuovo il Vittoriano nell'Ala Brasini, con la curatela congiunta di Guy Cogeval, Presidente dei Musées D'Orsay et de l'Orangerie; quella scientifica di Xavier Rey, Direttore delle collezioni e conservatore del dipartimento di pittura del Musée d’Orsay, ed ancora Ophélie Ferlier, Conservatore del dipartimento di sculture del Musée d'Orsay. La mostra, iniziata lo scorso 15 ottobre, perdurerà fino al 7 febbraio 2016.
Una galleria di ritratti frammisto alle sculture di Rodin ci accoglie: in bronzo vediamo Alphonse Legros (1881-1882) e Pierre Puvis de Chavannes (1890-1891) di Rodin appunto e, di Paul Paulin, il ritratto di Edgar Degas “à 72 ans” (1907), vegliardi di tutto rispetto insieme all'Autoritratto severo di Pierre Puvis de Chevanne (1875), che si addolcisce solo accanto a quello del bellissimo e giovane Léon Bonnat (1855), che si autoritrae pensieroso ed intenso. Ecco che però sopravviene addirittura una réunion, l'interno de L'atelier di Bazille (1870) su cui è impressa anche la mano del maestro Manet che Bazille promuoveva finanziariamente: ed infatti dentro l'atelier di pittura e pittori, è ritratto Bazille da Manet stesso (al centro con la tavolozza in mano) come asserisce Bazille in una lettera al padre: "Manet ha dipinto la mia persona". Nell'atelier Bazille ha vissuto con Renoir dal 1° gennaio 1868 al 15 maggio 1870.
Un altro quadro notevole di Bazille è L'abito rosa (1864), con una donna che sembra in attesa mentre osserva il paesello di Castelnau-le-Lez, dove la musa, che è Thérèse des Hours, cugina di Bazille, trascorre le vacanze nella tenuta di Méric, che condivide con la famiglia del cugino. Queste donne, che prolificano e rendono questa mostra in particolare, ricca di spunti sulla loro vita da muse, committenti, spose, amanti, aprono una finestra sulla vita borghese e parigina di quegli anni, raccontandone i tratti in leggerezza, come il ritratto della cavallerizza Madame Darras (1868) di Renoir; La donna col fazzoletto verde (1893) di Camille Pissarro è meravigliosamente pointillée come Alice Maréchal (1892) di George Lemmen; la dolcezza di Madame Feydeau e i suoi figli (1897) di Charles Durant. La tenerezza delle coccole al gatto di Julie Manet (1887), figlia di Berthe Morisot e suo marito Eugène Manet, fratello del celebre pittore, tutta su rosa tenui ed antichi come di smalto, a firma di Auguste Renoir merita un posto a parte, come anche Madame Gaston Bernheim de Villers (1901), sempre sua, che con i suoi azzurri involtolati di soffice ovatta si trova vicino – nell'azzeccato allestimento della sala centrale – allo splendore eburneo quanto dinamico di Madame Charles Max di Giovanni Boldini. Albert Besnard dipinge Madame Roger Jourdain rivelando solo i suoi bagliori, quelli descritti nella musica a lei dedicata da Gabriel Fauré: una Barcarolle (op. 42) nel 1885 ed un Nocturne (op.43) nell'anno stesso del dipinto, il 1886.
Berthe Morisot, pittrice anche lei, ci offre una delicatissima Giovane donna in abito da ballo (1879), nella stessa sala blu, vicina de L'altalena (1876) di Auguste Renoir, in cui affiorano palpiti di luce bianca tra fiocchi blu, e dove troviamo Il balcone (1868-1869) della locandina di Édouard Manet, presentato al Salon de 1869: qui compare Berthe Morisot, musa privilegiata, e perduta, come gli altri due protagonisti in un atteggiamento trasognato, che allora sconvolse il pubblico e le convenzioni, contrastando quei colori, il bianco marmoreo – come il busto di marmo vero di Madame Vicuña di Rodin (1888) - dei corpi e delle vesti, con il blu maschile della cravatta, chiudendo la mostra virtualmente tra due grandi stilemi, il femminile ed il maschile, entrambi rappresentati nella varietà delle “impressioni” importate dal colore, come in un tappeto musicale di Debussy.