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36° Cantiere di Montepulciano. L'occasione fa l'opera (buffa)
Il 36° Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano il 30 luglio 2011 ha offerto una kermesse particolarmente gustosa per i rossiniani: L’occasione fa il ladro, composta nel 1812, a vent’anni, dal “Napoleone della musica” secondo il nostro Giuseppe Mazzini, cui va il merito risorgimentale nell’anno del centocinquantenario, è una farsa (o burletta) in due atti, la prima il 28 luglio 2011, la seconda il trenta al medesimo Teatro Poliziano.
Fondale nero, un portone da cui giungono luci sparate mentre sul palcoscenico si alternano signori col frac ed ombrelli neri aperti: Roland Böer dirige sicuro l’attenta e giovane Orchestra del Royal Northern College of Music di Manchester, in maniera impeccabile, mentre le note di colui che comporrà il Guillaume Tell (1828), si affastellano e giungono briose alle orecchie del pubblico colto di Montepulciano, compresi numerosi stranieri, artists in residence e non.
L’inizio legato degli archi ci introduce in un albergo di campagna nel territorio partenopeo: Don Parmenione ed il Conte Alberto stazionano lì, il primo alla ricerca della figlia di un amico fuggita con l’amante; il secondo in viaggio verso le nozze con la donna che gli ha prescelto il padre, la marchesa Berenice. L’equivoco, su cui magheggia il primo, ovvero lo scambio della valigia (sottotitolo), porterà i due agli sposalizi previsti, non senza qualche intoppo ironico, lasciando che il pubblico rifletta sui pregiudizi e gli usi e costumi dell’epoca.
Prestdiigitazione, bicchieri di vino rosso che scendono dal soffitto, sospesi sulle voci che intonano: "Viva il vino, viva il sesso”, dal libretto di Luigi Prividali, tratto da Le Prétendu par hasard, ou L’occasione fait le larron di Eugène Scribe, si alternano alle parti di Berenice ed Ernestina (anche loro si scambiano le parti per mettere gli uomini alla prova), con la brava Deborah Lynn Cole e Anna Ryberg. La prima si presenterà in vesti da uomo e poi sadomaso con un frizzante gatto a nove code con cui minaccerà il futuro (sulle dichiarazioni) sposo Don Parmenione (che si è scambiato con Alberto, suo legittimo promesso sposo); Ernestina nella gabbia come un uccellino, tutta di bianco, tulle, maschere veneziane e svettanti canti, su cui aleggia il fantasma dell’abbandono da parte dell’amante, reso attraverso le proiezioni di donne velate in tulle azzurrino pastello, che si nascondono dietro specchi scuri. Su tutto aleggia un senso di macabro e di una velata trasgressione in punta di scala, dove, per orizzontale, passerà Berenice, come ad attraversare un guado, del tutto metaforico anch’esso ed esponenziale.
Le voci maschili di Don Parmenione, il buffo (come da programma) Simon Bailey, e del Conte Alberto, il tenore Gustavo Quaresma, danno una buona ed effervescente prova nelle parti d’insieme, accordandosi bene con le altre, del servo Martino, Leonardo Nibbi, e di Don Eusebio, zio di Berenice, interpretato dal tenore David Zacchigna. Due arie dal Rossini che verrà, una da La scala di seta e due da L'inganno felice, completano ed allungano l’opera buffa in due tempi (in originale un atto unico), per una regia, di Caterina Panti Liberovici, veramente gaudente e di volo vivace. Oltre alle scene di Sergio Mariotti, gustosamente colorati i costumi di Cristina Aceti, e le luci fi Pietro Sperduti e Gianni Trabalzini, che cadenzano di blu gli ombrelli e di rosso le vesti della Cole, la cui voce svetta simpatica nel ruolo. Il clavicembalo dell’Accademia Europea di Musica e Arte di Palazzo Ricci vena di settecentesco un’opera dal classico scioglimento.
I ruoli muti, come quello di Aurora, la sorella di Alberto (che è nella foto che vede Parmenione), ovvero Matilda Cerone, è, insieme alle altre comparse in tulle pastellato azzurino, una presenza che assume vesti, come poc’anzi dichiarato, quasi da correlativo oggettivo dell’opera, per intensificazione, a giovamento di un gioco delle parti, quelle funeste e quelle spumeggianti, di assoluto rilievo.