Heidegger e il nazismo nella filosofia. Le tesi radicali di Emmanuel Faye. Prima parte

Articolo di: 
Teo Orlando
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Un pubblico incredibilmente vasto, quello che ci si attende per i grandi dibattiti politici, ha sorprendentemente affollato lo spazio dibattiti della libreria presso la Festa dell’Unità romana alle Terme di Caracalla, il 14 luglio 2012, per assistere alla presentazione del libro di Emmanuel Faye Heidegger, l’introduzione del nazismo nella filosofia, pubblicato dalle Edizioni L’Asino d’oro (Roma, 2012), sette anni dopo la prima edizione francese, uscita per l’editore Albin Michel (Paris, 2005).

Il libro è stato presentato da Gianfranco De Simone, Giulio Pelonzi e Livia Profeti, che ha curato l’edizione italiana, e con la moderazione di Ilaria Bonaccorsi Gardini (della redazione di Left). Era prevista la partecipazione dello stesso autore (professore di filosofia all’università di Rouen), che però non è potuto venire per impegni inderogabili.

Nella presentazione del libro, i relatori hanno messo in rilievo i problemi sorti con la pubblicazione del volume in italiano, sottolineando anche l’ostracismo dei filoheideggeriani, il cui fronte però cominciò a incrinarsi dopo alcuni articoli di Franco Volpi e di Maurizio Ferraris, alquanto critici verso le posizioni politiche del filosofo di Meßkirch (di cui il compianto Volpi è stato, peraltro, forse il maggior studioso italiano).

I relatori hanno variamente sottolineato la radicalità delle tesi del libro di Faye, il quale non si limita a sottolineare, come avevano fatto in opere analoghe Victor Farias e Hugo Ott, l’adesione di Martin Heidegger al Terzo Reich, ma evidenzia le implicazioni filosofiche che tale adesione comporta. Da questo punto di vista, il libro di Faye non condivide le tesi di coloro che tendono a separare l’uomo dall’opera sostenendo che il suo impegno politico nel nazismo non metterebbe in discussione la sua filosofia.

Anzi, come ha rilevato Livia Profeti, Faye dimostra proprio il contrario, ossia che il pensiero depositato da Heidegger nei suoi scritti e nelle sue lezioni è profondamente nazista, al punto tale che, anche dopo la sconfitta bellica della Germania, egli sperava di poter inoculare la Weltanschauung nazionalsocialista nelle menti dei suoi lettori ed ascoltatori attraverso i suoi libri e i suoi corsi.

La radicalità della tesi di Faye consiste nel fatto che a suo parere il filosofo tedesco non aderì al nazismo per mero opportunismo, ma in forza di un’adesione sentita e convinta. Purtroppo, a nostro sommesso parere, Faye cerca di stabilire un legame così stretto tra la visione del mondo dei nazisti e quella di Heidegger che talora si lancia in affermazioni non plausibilmente sorrette dai testi. Arriva infatti a sostenere “che Heidegger non ha aderito al nazismo per semplice opportunismo, ma si è personalmente identificato con il progetto razzista e sterminatore messo in atto da Hitler”. Egli ricava questa tesi dirompente soprattutto basandosi su alcune lettere spedite dal filosofo alla moglie Elfride, che a suo parere rivelerebbero “un antisemitismo viscerale e un gusto della violenza omicida - confermato dal suo appello all'annientamento (Vernichtung) - indegni di un filosofo”. Il che spiega come sia in Italia (da parte di Gianni Vattimo), sia in Francia (da parte di François Fédier, che ha curato una sorta di risposta collettiva, Heidegger à plus forte raison, pubblicata da Seuil) siano uscite repliche pacate e risentite che cercano di scagionare il filosofo da un’accusa così violenta e che rischia di escluderlo dal novero degli autentici pensatori.

Per Faye, Heidegger avrebbe messo in atto un’accurata strategia di diffusione del suo pensiero, anche dopo il divieto di insegnamento durato fino al 1951, pubblicando i suoi corsi  e gli scritti in cui si celebra “la grandezza” e “il dominio” del movimento nazionalsocialista. Anzi, dopo la fine del divieto, non avrebbe avuto più scrupoli a reintegrare negli scritti degli anni ’30 e ’40 i passaggi prima soppressi perché giudicati troppo compromettenti.

Secondo Faye, la difesa, esplicita e implicita, del nazionalisocialismo da parte del filosofo tedesco si può articolare in undici punti:

1) Le tesi ispirate a un radicale antisemitismo rinvenibili nelle lettere alla moglie Elfride, fin dal 1916. Vi si legge, tra l’altro: “La giudaizzazione della nostra cultura e delle nostre università è in effetti spaventosa, e ritengo che la razza tedesca dovrebbe trovare sufficienti energie interiori per emergere”. Per Faye, Hitler parlando di “università giudaizzate” avrebbe usato toni non diversi da quelli di Heidegger quando scrive che “gli ebrei e i profittatori sono ormai un’invasione”. O quando deplora l’eccessivo attaccamento del collega Karl Jaspers alla moglie ebrea, rimproverandogli un eccessivo attaccamento all’umanità, dato che egli penserebbe "in modo troppo legato all’essere umano" (zu menschheitlich). Stranamente, Faye non fa mai riferimento alla lettura da parte di Heidegger del monaco antisemita Abraham a Sancta Clara, che invece era uno dei punti modali di un altro libro anti-heideggeriano, ossia Heidegger e il nazismo di Victor Farias, dal nostro autore comunque citato e apprezzato.

2) L’analogia tra Essere e tempo (Sein und Zeit), il capolavoro di Heidegger, e il Mein Kampf di Hitler a proposito dei concetti di morte e di sacrificio di sé. Per Faye, Sein und Zeit esprime la volontà di distruggere la tradizione filosofica occidentale e di promuovere una concezione dell’esistenza in cui la coscienza individuale viene totalmente annullata. L’unico modo di esistenza autentica sarebbe l’essere-per-la-morte, intesa come anticipazione del sacrificio supremo, nel quadro della fusione dell’individuo con la comunità di popolo (Volksgemeinschaft). Queste tesi riecheggerebbero quelle espresse da Hitler nel capitolo del Mein Kampf intitolato "Popolo e razza", dove viene esaltata la capacità del singolo di sacrificarsi per la comunità.  E già Theodor W. Adorno, giustamente citato, in quello splendido pamphlet che è Il gergo dell’autenticità, aveva  sottolineato che per Heidegger il rapporto con la morte non si traduce nella meditazione riflessiva, ma equivale a trovarsi tra coloro che godono del favore dell’essere, qui inteso come la comunità che annulla l’individuo.

3) Nei corsi che vanno dal 1927 al 1934, Heidegger cerca di reinterpretare la nozione di genere umano traducendo il termine greco ghénos con quelli di “stirpe”o “discendenza”, e parlando di stirpi al plurale, in modo da annullare ogni riferimento al genere umano universale e accentuando invece l’unità di sangue e di stirpe della “razza”.

4) Per Faye, Heidegger avrebbe più volte manifestato anche il suo gusto per la violenza e per l’annientamento, sostenendo che non si debba indietreggiare neanche di fronte all’assassinio dei principali oppositori politici. Quando nel 1933 venne eletto rettore di Friburgo al posto del dimissionario rettore socialdemocratico, invita  a votare per Hitler con una proposta di sottoscrizione da cui esclude i non ariani, sottolineando, in un’allocuzione agli studenti, la necessità di procedere all’annientamento totale (völlige Vernichtung) del nemico interno, ossia degli ebrei assimilati e degli oppositori politici.

5) Nel periodo in cui ricopre il rettorato, Heidegger, con una direttiva del 3 novembre 1933, sopprime le borse di studio agli studenti ebrei e marxisti, attribuendole prioritariamente agli studenti distintisi per la loro militanza nelle SA e nelle SS.

6) Nel corso tenuto nell’inverno 1933-34, Heidegger perverte in senso razzista il concetto di verità, identificandola con la lotta per l’autoaffermazione di un popolo e di una razza. Per lui, è necessario trasformare totalmente l’esistenza umana adeguandola e rieducandola secondo la visione del mondo nazionalsocialista inculcata nel popolo dai discorsi del Führer.

7)    In un altro testo, Heidegger difende la politica di annessione e di espansione ad Est (Drang nach Ost) che Hitler metterà in opera, utilizzando il concetto di Lebensraum o spazio vitale, contrapposto alla mancanza di uno spazio proprio di quelli che chiama “i nomadi semiti”.

8)    Nell’autunno del 1941 Heidegger, nel suo corso sulla metafisica di Nietzsche, insiste sul fatto che quello del nazismo non è solo un conflitto militare, ma è la lotta per il dominio incondizionato della Terra. In un capitolo su Il superuomo e la giustizia sostiene che si debba plasmare una nuova umanità incondizionata, che conquisti il pianeta e realizzi la selezione razziale. Dall’altra parte, paventa l’entrata in guerra degli Stati Uniti, per lui privi di vera storia e orientati alla mera “desertificazione”.

9)    In analogia con Hitler che parla dell’ariano come il Prometeo dell’umanità che accende il fuoco mostrando agli altri uomini il cammino da percorrere, anche Heidegger pone la sua filosofia sotto il segno di Prometeo e sotto la fascinazione del fuoco, elemento illuminante e distruttore a un tempo, arrivando perfino a giustificare il rogo dei libri.

10)     Nei suoi corsi degli anni ’30 e ’40, Heidegger insegna i tre principali scopi del nazismo, ossia il dominio della razza germanica originaria, l’annientamento totale del nemico interno, l’espansione dello spazio vitale del popolo tedesco, ricavando arbitrariamente queste tesi dagli scritti del poeta Hölderlin.

11)     Dopo la sconfitta del Terzo Reich, Heidegger si assume il ruolo di Führer spirituale, contribuendo a diffondere l’idea che nonostante tutto la Seconda guerra mondiale non ha deciso nulla: egli combatte la democrazia e l’ordine mondiale ricostituitosi dopo il 1945, paragonandolo alla situazione dell’Europa tra il 1929 e il 1930.

Pubblicato in: 
GN39 Anno IV 13/20 agosto 2012 Numero doppio
Scheda
Autore: 
Emmanuel Faye
Titolo completo: 

Heidegger, l'introduzione del nazismo nella filosofia, Roma, L'Asino d'oro edizioni, 2012. A cura di Livia Profeti, traduzione di Francesca Arra. Euro 30

Titolo originale: Heidegger, l'introduction du nazisme dans la philosophie, Paris, Albin Michel, 2005, 2007

Anno: 
2012
Voto: 
8