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Manon Lescaut a Verona. La versione fassbinderiana di Vick
Assente da Verona da quasi trent’anni, la Manon Lescaut, musicata da Giacomo Piccini, è approdata al Teatro Filarmonico di Verona, in una co-produzione con il Teatro La Fenice di Venezia dal 22 gennaio al primo febbraio 2011.
Ispirata dal romanzo dell’abate Antoine Prévost Storia del cavaliere Des Grieux e di Manon Lescaut, l’opera venne composta tra l’estate del 1889 e l’ottobre 1892, dopo ripetuti rimaneggiamenti del libretto ad opera di ben cinque letterati, del calibro di Ruggero Leoncavallo, Marco Praga, Domenico Oliva, completato e rifinito da Luigi Illica. Ma evidentemente il pasticcio era così grande che nessuno di questi osò mettere la propria firma sul libretto.
Possiamo quindi dire che, dopo questa girandola di librettisti, il vero autore dell’opera viene considerato Giacomo Puccini, che era alla sua terza importante composizione. Fatta questa premessa, possiamo dire che la Manon vista a Verona, ha poco a che vedere con la Manon originaria creata alla fine dell’Ottocento. La versione proposta da quel, per certi versi, geniale visionario, che è il regista inglese Graham Vick, ha stravolto completamente tutta la morfologia del libretto e quindi delle scene dell’opera. In questo stravolgimento estetico e plastico è difficile seguire e capire la trama secondo un certo ordine logico, perché è tutto un susseguirsi di situazioni che oscillano tra il grottesco e il surreale.
A cominciare dalla scena d’inizio in cui una scolaresca si diverte a giocare creando una confusione generale. Ma è inutile dilungarsi sulla storia che vede per sommi capi questa giovane protagonista del suo tempo, Manon, trasformarsi da innamorata del giovane Des Griseux ad amante e mantenuta di un ricco signore, Geronte de Ravoir Fino al riscatto finale in cui i due giovani innamorati, imbarcati a forza su una nave di disperati e prostitute, dovevano, secondo la versione originale, morire abbracciati in una landa del deserto americano, ma che Vic ha trasformato in una discarica, come segno moraleggiante della fine di una giovane peccatrice e del suo amante innamorato.
Che dire? Lo spettacolo ha avuto l’anno passato notevoli contestazioni alla Fenice di Venezia…Credo che gli spettatori veronesi e non solo, siano rimasti alquanto ammutoliti, incapaci di esprimere un vero giudizio. Mi riferisco soprattutto alla scena, a mio avviso, un po’ fassbinderiana, della calata delle prostitute dall’alto in una specie di gabbia, dove le razze espongono grottescamente le loro gambe nude.
Vick aveva già dato prova si sé qualche anno fa in una Traviata all’Arena di Verona molto contestata…Questa volta ci ha riprovato con la Manon… Non so quanto tutto questo si sposi con la musica di Piccini, ma ormai tutto questo appartiene al cosiddetto Regietheater, una prassi abbondantemente praticata non solo in Germania, dove è nata, ma ormai ovunque, in base alla quale i registi sono liberi di realizzare un’opera teatrale, cambiando le indicazioni originali dell’autore. Si pensi che per esigenze sceniche c’è stato un solo intervallo di quasi un’ora.
Per quanto riguarda gli interpreti, solo Amarilli Nizza è risultata una Manon scenicamente credibile, la cui voce però è piuttosto fioca nell’ottava inferiore e non può sfoggiare molti colori; tuttavia, canta con eleganza e passione, senza cadere in eccessi plateali ed, inoltre, è piuttosto sicura negli acuti.
Walter Fraccaro è un Des Grieux vigoroso, sicuro nell’emissione, a suo agio nel registro acuto, ma impacciato e fuori carattere nel canto legato e amoroso. Corretto, nel complesso il resto del cast.
Riccardo Frizza dirige con autorevolezza e slancio, anche se talvolta la sua concertazione appare poco attenta al dettaglio e più orientata a creare una tensione drammatica complessiva.