Tannhäuser di Richard Wagner. La vittoria del cielo sull'inferno

Articolo di: 
Teo Orlando
Tannhäuser

Dal 29 ottobre al 6 novembre scorsi è andata in scena al Teatro dell’Opera di Roma la rappresentazione del Tannhäuser di Richard Wagner. Sotto l’abile e maestosa conduzione di Daniel Kawka, giovane direttore specializzato nel repertorio romantico, il dramma musicale wagneriano è ritornato a Roma dopo oltre vent’anni dall’ultimo allestimento, che data al 1985.

La prima assoluta di quest'opera “giovanile” del grande compositore tedesco ebbe luogo a Dresda nel 1845, con scarso successo; il fiasco si ripeté anche nella versione rimaneggiata e tradotta in francese nel 1861, all’Opéra di Parigi. Qui però ebbe uno spettatore d’eccezione, ossia Charles Baudelaire, che scrisse: «Il Tannhäuser rappresenta la lotta dei due princìpi che hanno scelto il cuore umano come principale campo di battaglia, ossia la carne contro lo spirito, l’inferno contro il cielo, Satana contro Dio». Con un accostamento un po’ ardito, l’autore di Les Fleurs du mal paragona l’effetto della musica wagneriana, «ardente e dispotica», alle immaginazioni indotte dall’oppio, come se fossero dipinte nelle tenebre in uno stato di rêverie.

Solo il tempo e le epoche successive renderanno piena giustizia al capolavoro wagneriano, incentrato sulla figura mitologica del Minnesänger (trovatore) medievale Tannhäuser (o Danhauser), vissuto tra il 1208 e il 1265, che il compositore di Lipsia associò a un’altra leggenda dei “secoli bui”: quella secondo cui la dea Venere, bandita dall’Olimpo dopo l’avvento del cristianesimo e trasfigurata nella figura di un demone tentatore, si era rifugiata sul monte Hörsel, presso Eisenach, circondata da una corte di spiriti infernali. Fonti di ispirazione furono per Wagner anche alcuni testi del romanticismo più “gotico”, come Die Serapionsbrüder (I confratelli di Serapione, 1819) di Ernst T. A. Hoffmann.

La vicenda comincia con il protagonista irretito dalla dea sul Venusberg, dove permane nonostante la pura e onesta Elisabeth lo attenda sulla Wartburg amandolo incondizionatamente. Alla fine, stanco di peccare, Tannhäuser supplica Venere di lasciarlo andare: la dea lo congeda, ma con una sorta di maledizione. Ritornato alla corte del langravio di Turingia, può ritrovare Elisabeth e partecipare a una competizione con gli altri trovatori: qui si contrappone a Wolfram von Eschenbach, che celebra l’amore spirituale e disincarnato (quello che Platone definiva l’eros celeste), mentre Tannhäuser scioglie un inno a Venere e all’amore sensuale (da Platone definito volgare o “pandemio”). Elisabeth salva poi l’amato Tannhäuser dalla punizione che i cavalieri della corte vorrebbero infliggergli, ma a condizione che si rechi a Roma per ottenere il perdono del papa. Quando i pellegrini saranno di ritorno, tra di loro non si troverà Tannhäuser. Elisabeth, vinta dal dolore, si avvia lentamente alla morte, mentre Wolfram, anch’egli innamorato devotamente di lei, invoca la stella della sera affinché saluti la sua anima quando le passerà vicina nell’ascesa al regno di Dio: la stella della sera è in realtà il pianeta Venere, un astro angelico, mite e luminoso, affine alla bellezza femminile trasfigurata, e contrapposto in modo ambivalente alla dea Venere, demone oscuro e tentatore.

Giunge alla fine un pellegrino vestito di stracci: è lo stesso Tannhäuser, a cui il Papa ha negato l'assoluzione a meno che il suo bastone da pellegrino fiorisca nuovamente. Egli si sente ancora attratto dal peccato e invoca Venere, finché non si profila all’orizzonte una processione, il funerale di Elisabeth. Tannhäuser, sprofondato ormai nel dolore, si getta sul suo corpo e, dopo averla invocata come santa, muore redento, in maniera simile a Faust, nella scena finale dell’omonimo dramma di Goethe. Intanto il suo bastone è fiorito come simbolo del perdono divino.

Anche per il Tannhäuser vale un giudizio generale di Theodor W. Adorno sui drammi del compositore tedesco: «I racconti wagneriani impongono l’arresto dell’azione come processo vitale della società. Essi si fanno immobili per scortarla nel regno della morte, archetipo della musica wagneriana». Per il filosofo francofortese, il Tannhäuser presenta anche un particolare significato filosofico, come meditazione occulta sul tempo e sull’eternità. Infatti, anche nella partitura orchestrale si avverte una mancanza di progressione armonica: questo apparente difetto è in realtà simbolo dell’immobilità temporale. Come Tannhäuser dice nel Venusberg: “Die Zeit, die hier ich verweil’,/ ich kann sie nicht ermessen” (Il tempo che io ho qui passato/non so misurarlo).

Nell’allestimento romano sono da sottolineare le scenografie, che riproducono con plasticità e incisività il dualismo tra lo spirito e la carne. Di assoluto rilievo anche la prestazione dell’orchestra, soprattutto nella splendida ouverture, dove, come rilevò Baudelaire, la parte diabolica dell’uomo viene progressivamente vinta dal tema religioso, che ristabilisce l’ordine.

Tra gli interpreti, ci sono sembrati degni di nota il baritono Otto Katzameier nei panni di Wolfram e il soprano Tina Kieberg, che ha soavemente impersonato Elisabeth. Mentre il tenore Mario Leonardi come Tannhäuser avrebbe dovuto accentuare i toni più sofferti con maggiore pathos.

Pubblicato in: 
GN2 Anno II 18 novembre 2009
Scheda
Autore: 
Richard Wagner
Titolo completo: 

Tannhäuser e la tenzone dei cantori sulla Wartburg
Grande opera romantica in tre atti
Teatro dell'Opera di Roma
Dal 29 ottobre al 6 novembre 2009
Spettacolo del 4 novembre 2009
Video di Livia Bidoli

Maestro concertatore e Direttore Daniel Kawka
Maestro del Coro Andrea Giorgi
Regia Filippo Crivelli
Scene Maurizio Varamo
Costumi Anna Biagiotti
Coreografia Gillian Whittingham
Video Designer Roberto Rebaudengo
Video Maker Matthias Schnabel
Disegno luci Agostino Angelini

Venus Natascha Petrinsky
Tannhäuser Mario Leonardi
Elisabeth Tina Kieberg
Wolfram von Eschenbach Otto Katzameier (30, 4, 6)
Hermann Christof Fischesser
Walther von der Vogelweide Vicente Ombuena
Pastore Silvia Colombini
Heinrich der Schreiber Gianluca Floris
Reinmar von Zweter Alessandro Guerzoni

ORCHESTRA, CORO E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA
Coro delle Voci Bianche dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia e del Teatro dell'Opera diretto da José Maria Sciutto

Nuovo allestimento
In lingua originale con sovratitoli in italiano

Anno: 
2009
Voto: 
10