Chiostro del Bramante. I diacronici Macchiaioli

Articolo di: 
Giulio de Martino
doardo Borrani, L’analfabeta

Ottocento: così vicino, così lontano. L’arte e la cultura borghesi di appena centocinquanta anni fa ci appaiono allo stesso tempo familiari e remote. La rivisitazione dell’Ottocento assume l’aspetto di una riscoperta. Accade alla mostra I Macchiaioli. Le collezioni svelate, che si visita al Chiostro del Bramante a Roma fino al 4 settembre 2016. Impaginata con cura e con soluzioni critiche e storiche interessanti, presenta al pubblico importanti dipinti dei Macchiaioli toscani e non, appartenenti alla seconda metà dell’800 - alcuni li vediamo per la prima volta - collocandoli nel contesto delle collezioni private e familiari che li ospitarono.

I collezionisti di quadri del passato: Cristiano Banti, Diego Martelli, Rinaldo Carnielo, Edoardo Bruno, Gustavo Sforni, Mario Galli, Enrico Checcucci, Camillo Giussani, Mario Borgiotti rivivono nelle preziose fotografie color seppia che accompagnano i dipinti. I quadri dei «pittori della macchia» erano appesi alle pareti dei loro studi professionali e nei salotti delle famiglie più sensibili ai valori pittorici: donati dagli autori stessi o acquistati per sostenere gli artisti.

La mostra raccoglie le 110 opere suddividendole in 9 sezioni - ciascuna intitolata alla collezione di provenienza - e ben rappresenta la pittura non accademica, ispirata a sentimenti e idealità (anche politiche oltre che estetiche), così tipiche dello Zeitgeist del secondo ‘800. Del resto, la tecnica pittorica delle «macchie di colore» è efficace e non tradizionale. Vediamo: Il Ponte Vecchio a Firenze (1879) di Telemaco Signorini, Il giubbetto rosso (1895 ca.) di Federico Zandomeneghi, Marcatura dei cavalli in Maremma (1887) e Ciociara di Giovanni Fattori, Place de la Concorde e Campo di neve di Giuseppe De Nittis. Seguono il Ritratto della figlia Alaide (1875 circa) di Cristiano Banti, le famose Cucitrici di camicie rosse (1863) di Odoardo Borrani – che ci riporta alle passioni politiche risorgimentali -, Il collezionista Sforni in veranda che legge (1913) e il Ritratto della moglie Isa (1902) di Oscar Ghiglia che ci ricordano quel mondo familiare ed affettivo.

Passati cinquant’anni dalla mostra della Galleria nazionale d’arte moderna, tornano a Roma I Macchiaioli per la cura di Francesca Dini, grazie alla Fondazione Bricherasio di Torino e al Dart Chiostro del Bramante di Roma. Possiamo misurare con loro il mutamento della sensibilità estetica del pubblico: quello dell’Ottocento e quello di metà Novecento, ma anche quello di oggi: sommerso dalle immagini digitali e riproducibili. È piacevole rimodulare lo sguardo e la percezione davanti a capolavori quali La scolarina di Giovanni Fattori, Il rio a Riomaggiore di Telemaco Signorini e Il carro e Bovi nella Maremma toscana di Giuseppe Abbati. 

La “macchia” fu la via italiana all’impressionismo e al verismo: non un’invenzione di pochi pittori progressisti convenuti a Firenze nel 1856. Con loro il disegnare e poi il dipingere trovarono lo strumento estetico più idoneo per esprimere le tensioni morali e civili proprie della realtà del loro tempo. Le tendenze artistiche nascono prima nell’interiorità, ne esprimono il ritmo, il tono e l’intensità, per poi diventare soluzioni tecniche e stilistiche offerte al pubblico e alla comunicazione sociale..

La prima sezione - Origine e affermazione della “macchia” - esemplifica con Telemaco Signorini (Pascoli a Castiglioncello, Ritorno dalla capitale e Giovani pescatori), Serafino De Tivoli, Vito D’Ancona, Giovanni Fattori, Raffaello Sernesi, Vincenzo Cabianca, l’invenzione della “macchia di colore”, della pennellata rapida e suggestiva, dello strumento che divenne emblema del movimento dei realisti toscani, e ci invita a ritrovare come esperienza estetica storicizzata ciò che, fino a pochi decenni fa, era lezione scolastica, esperienza comune.

Nella seconda sezione si documenta la storia dei Macchiaioli come movimento unitario e il loro modo di rapportarsi al paesaggio, spogliato dell’immaginazione bucolica e mitologica, e raffigurato con quello che si definì come “realismo”. Lo scorrere del tempo sociale e tecnologico, con il mutamento della nostra percezione emerge ancora di più nella terza sezione (L’epica del quotidiano) che raggruppa dipinti esemplificativi della sublimazione del tema del lavoro e dell’attenzione a momenti della vita quotidiana, alle manifestazioni dell’ineguaglianza sociale che sono divenuti biografia della nostra nazione.

Nella quarta sezione si evidenziano le inevitabili influenze internazionali: francesi, olandesi, inglesi che contaminano la pittura macchiaiola. La quinta sezione ci descrive una pittura leggermente depotenziata, dopo il 1870, dal fare più piacevolmente narrativo, più aneddotico e meno eroico ed ideologico.

Nelle ultime opere in mostra si tende a focalizzare le individualità, il genio personale di alcuni pittori del movimento. Giovanni Fattori esprime il sentimento di appartenenza alla civiltà contadina della sua terra, Signorini privilegia i “caratteri”, i volti, le personalità sociali. Emergono anche sensibilità gozzaniane e pre-dannunziane nella tipizzazione delle case e dei volti di Silvestro Lega. Attraverso l’opera di questi tre maestri – si suggerisce - l’eredità dei Macchiaioli si consegna al nuovo secolo pittorico di Cezanne, dell’Impressionismo, dell’Art Nouveau. 

Pubblicato in: 
GN24 Anno VIII 28 aprile 2016
Scheda
Titolo completo: 

I MACCHIAIOLI. Le collezioni svelate
16 marzo /2016 – 4 settembre 2016

Chiostro del Bramante – Roma

Curatrice: Francesca Dini
Prodotta e organizzata da Dart - Chiostro del Bramante e Arthemisia Group
Il catalogo, con i saggi di Luciano Alberti, Silvio Balloni, Zeffiro Ciuffoletti, Nicoletta Colombo e Daniela Magnetti e le schede di Silvestra Bietoletti e Rossella Campana, è edito dalla Silvana Editoriale.
Promotori Comune di Roma - Regione Lazio
Partner Gioco Sicuro AAMS