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Festa del Cinema di Roma 2012. Tra le ombre del cecchino e L'isola dell'angelo caduto
Alla settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, due italiani in due sezioni diverse: Fuori Concorso il film Le guetter (Il cecchino) di Michele Placido, in Prospettive Italia quello di Carlo Lucarelli. Il primo ha dato conferma di un talento sempre più sapientemente domato e consapevole. Il secondo di non essere pronto (o forse portato) per il cinema. Ma andiamo per ordine.
L'isola dell'angelo caduto. Prospettive Italia
L'isola dell'angelo caduto è tratto dal suo romanzo omonimo. Lucarelli, per la sua trasposizione cinematografica, sceglie di mescolare i generi, nella speranza di centrare il bersaglio sparando nel mucchio. Il film comincia come un giallo macchiato di thriller, prosegue su toni drammatici, scivola brevemente nella commedia nera e conclude nell'horror, ammantato di una cortina melodrammatica spessa e stucchevole, da fiction, di quelle di cui non vedi mai la fine e che fanno venir voglia di spegnere il televisore. Ma qui purtroppo lo schermo non si può spegnere. Al massimo si può fuggire, e parecchi l'hanno fatto.
La trama è ostinatamente lambiccata. Un commissario di polizia (Giampaolo Morelli) e la sua depressa mogliettina sono costretti su un'isola sperduta del Mediterraneo. Costretti dal Duce, che lì relega i dissidenti politici. Un giorno viene rinvenuto il cadavere di una camicia nera precipitato sugli scogli. Suicidio? Omicidio? La prima ipotesi accarezza i sogni del commissario di archiviare velocemente (e in maniera politicamente corretta) il caso e accelerare le pratiche di rimpatrio. La seconda però stuzzica la sua vena investigativa, nonché il suo intramontabile senso del dovere. Occorre scovare il colpevole, altrimeti non potrà mai sentirsi pienamente libero. Il problema, a questo punto della storia – ovvero dopo il primo quarto d'ora – è che l'identità del colpevole è talmente palese da far diventare la sua ricerca intrigante quanto un rebus con la soluzione stampata sotto a lettere cubitali. La colpa viene fatta rimbalzare da un capo all'altro dell'isola su personaggi assurdi e macchiettistici, fino a ricadere sul capo della milizia fascista (Gaetano Bruno), un maniaco ammorbato dalla disciplina mussoliniana che usa il suo manipolo di uomini come cani da guardia.
E alla fine, dopo infinite quanto inutili peripezie, vistosi scoperto si trasforma lui stesso in una sorta di uomo-lupo, che si muove a quattro zampe nel buio, ringhiante, in una delle sequenze più ridicole mai viste al Festival di Roma. Tutto il film è involontariamente comico: dalla scena della dissenteria del farmacista a quella dei riti bacchici nel bosco, dal concerto dei venti del guardiano del faro all'immagine finale della servetta muta accovacciata sullo scoglio. L'elenco degli errori, o meglio, degli orrori, sarebbe lungo. A cominciare dallo stile, manieristico fino al collasso (Shutter Island è un'utopia), proseguendo per la colonna sonora da tappi nelle orecchie fino alle interpretazioni degli attori, tutte disastrosamente sopra le righe, mal guidati da un regista che regista non è. Il cinema non fa per tutti. Proprio non fa per tutti.
LE GUETTEUR - Il cecchino. Fuori Concorso
Viceversa Placido illumina il Festival con Il cecchino, noir cupo, denso di ombre fumose, esalazioni di coscienze tormentate e (auto)distruttive di uomini e donne rintanati nelle loro solitudini. Il cecchino chi è? È Vincent Kaminski (Mathieu Kassovitz), ex agente speciale segnato dalla guerra e che combatte la sua guerra personale crivellando poliziotti da un tetto per coprire i suoi compagni di rapina. È braccato dal commissario Mattéi (Daniel Auteuil), che vive tormentato dal dolore per la scomparsa del figlio, ucciso in guerra in circostanze misteriose.
La banda di Kaminski, in fuga con il bottino, si rifugia dallo spacciatore di uno dei suoi componenti. Spacciatore, medico, maniaco sessuale che ordisce un piano per farli fuori tutti e intascare il malloppo. Solo Kaminski sembra imbattibile, uomo ombra senza coscienza ma per questo moralmente superiore a chi ne ha una diabolica. Mattèi vuole catturare il cecchino costi quel che costi, per motivi personali legati alla morte del figlio. Il maniaco, il vero mostro della storia, ne diviene l'esca. La ricerca si fa ossessione. Finchè Mattéi imbraccia il fucile da cecchino e, accecato dall'ombra nera della vendetta, spara sfiorando la folla. Anche lui è il cecchino, anche lui si fa corrompere dalla violenza di un mondo in cui non esistono buoni e cattivi, ma solo esseri irrimendiabilmente soli che percorrono strade diverse per uscire dall'ombra o per tornarci.
Il film di Placido non indica una strada verso la luce. Anche se l'amore, incarnato nell'unica frase in italiano di tutto il film («Ti amo»), detta dal bandito Nico (Luca Argentero) alla compagna (Violante Placido), fa arrestare per un attimo il tempo, non può fermarlo del tutto. Il viaggio nella propria solitudine è inarrestabile. Solo il dolore si fa punto di contatto, terreno d'incontro di anime in guerra in cerca di un angolo di pace. Come Mattèi e Kaminski, guerrieri stanchi che depongono le armi di fronte al dolore del rivale, così uguale al proprio.
Qui la recitazione di tutti gli attori fa pulsare il film di verace e vorace umanità. La mano di Placido si sente anche in questo. Su tutti svetta Auteuil, con il volto livido del poliziotto retto e implacabile, memore di 36 Quai des Orfèvre, ma con in più una vena di dolorosa follia che si fa immagine/specchio della parte di noi avvolta nell'ombra.