Napoli MADRE. Dall’antropologico al virtuale con Jodice

Articolo di: 
Giulio de Martino
Mimmo Jodice. Corteo

Si è da pochi giorni chiusa al Museo MADRE di Napoli l’importante mostra antologica del fotografo Mimmo Jodice (nato nel 1934 a Napoli, nel Rione Sanità). Il titolo è: “Attesa. 1960-2016” per indicare sia la diacronia delle immagini sia la sospensione del discorso dinnanzi a un futuro incerto. La mostra è stata curata da Andrea Villani e ha compreso oltre agli scatti più recenti – esposti in forma di grandi immagini con cornici e vetro – una lunga proiezione delle sue foto più antiche (1960-1980), raccolte in un video che andava in continuo su di un grande schermo nella sala RE PUBBLICA MADRE al piano terra del museo.

Questo audiovisivo – con una discreta ma suggestiva colonna sonora –  si intitolava “Teatralità quotidiana a Napoli” e comprendeva una selezione di immagini della storia sociale di Napoli negli anni Sessanta e Settanta: dai reclusi nei manicomi ai rioni popolari, dai cortei del partito comunista alle feste patronali di Nola, Procida e Pompei. Molte di queste foto erano state pubblicate nel volume Chi è devoto? nel 1974, con prefazione di Carlo Levi e schede di Roberto De Simone. Vi erano poi foto delle condizioni di lavoro in fabbrica e a domicilio, di denuncia del lavoro minorile e scene della vita di strada nei bassi e nelle periferie.

La riflessione estetica impone di notare come questo tipo di immagini – che in quegli anni rappresentavano l’esplorazione fotografica di lembi del sociale esclusi dalla rappresentazione dei mass media – siano state oggi sostituite dal flusso televisivo e cinematografico in cui il barbone, il drogato, il cumulo di rifiuti non costituiscono più una contro-immagine, bensì l’agenda quotidiana della cronaca e dell’infoteinment. Se negli anni ’60 e ’70 del Novecento il lavoro del fotografo, con la reflex e il rullino in bianco e nero, era elemento dell’inchiesta sociologica e della ricerca storica che davano dignità antropologica e pregnanza culturale ai sottoproletari, agli esclusi e ai drop-outs, oggi la televisione si incarica di svilire ogni elemento di alterità sociale, presentandolo come la mera disfunzionalità del meccanismo societario. 

Nel 1978 la rivista Progresso fotografico dedicò un intero numero alla fotografia sociale nel meridione, sulla scia del volume Mezzogiorno. Questione aperta del 1975. Erano fotografie che oggi meritano una sottolineatura contenutistica e di inchiesta poiché documentano – come scrive il curatore Villani - «abitudini quotidiane, comportamenti collettivi, residui della storia, delle ideologie e delle fedi. Un’analisi lucida che si erge a inno barocco, epistemologia lirica, chiaroscuro sociale e culturale». Nulla di simile potrebbe dirsi oggi, nell’età globalizzata e digitalizzata, dell’immagine-spazzatura e dell’immagine sfogatoio televisivo che spunta sui monitor.

Se, come disse anni fa Achille Bonito Oliva: «Andy Warhol e Joseph Beuys sono stati i Michelangelo e i Raffaello della società industriale», Mimmo Jodice ne è stato sicuramente il «Caravaggio».

Da molti anni, il mondo della comunicazione è profondamente cambiato, come è cambiato il mondo della fotografia. Ne fu testimone attivo lo stesso Jodice quando ritrasse un disoccupato napoletano che vendeva foto-poster di Papa Wojtyla in occasione della visita pastorale a Napoli del pontefice nel novembre del 1980. Quel sottoproletario mostrava come la plebe di Napoli non non fosse più mero “oggetto di fotografia” e che, anzi, le immagini le vendeva. Quella foto annunciava anche che, di lì a poco, il sottoproletariato sarebbe diventato produttore seriale di immagini e video grazie alla diffusione dei dispositivi digitali.

In corrispondenza con questa torsione dell’immagine fotografica che cedeva il posto all’immagine digitale Mimmo Jodice avrebbe modificato il suo stile. Da Vera fotografia (1979) a Taglio (1978) a Bruciatura (1978) e poi ancora con Carta d’identità (1978) e Corrispondenza (1979) e con i lavori successivi avrebbe spostato il lavoro del fotografo dal mondo della strada e del sociale al mondo delle arti visive. In realtà l’elemento concettuale e analitico era sempre stato presente nella fotografia di Jodice (ricordiamo: Nudi stroboscopici, 1966, Studio per un nudo, 1967, fino a giungere a Macchina fotografica, 1965) ma quella dimensione metalinguistica e analitica era interna  – come segmento di ricerca – al fotografare di inchiesta e di reportage. L’elemento artistico di secondo Novecento (riflessivo, concettuale, performativo) non sopravanzava e neppure inglobava il profilo del fotografo: la foto non era mezzo per altro, ma restava sempre fine autonomo del processo creativo: parola/segno, parola aperta.

Dopo la fase di transizione degli anni ’80 – tramontato quel rapporto fra cultura, arte e politica che aveva caratterizzato i venti anni precedenti – Jodice sarebbe diventato più compiutamente un “artista”: un artista che adoperava la macchina fotografica come mezzo espressivo fondamentale. La finalità adesso è quella della costruzione dell’effetto visuale, della composizione in cui appare l’incanto del paesaggio naturale, la fantasmagoria metropolitana, l’oggetto straniato dentro l’immagine. La foto è divenuta un consapevole “linguaggio fotografico”.

Viaggiando per il mondo e fotografando palazzi, strade, uomini, montagne, Jodice avrebbe però cercato di conservare la sua impronta personale (napoletana?), di non disperdersi lungo i percorsi dell’immagine globalizzata. In suo aiuto sarebbe venuta l’arte classica, riscoperta alla maniera di Magritte e di De Chirico come presenza e assenza nel contemporaneo. Il dialogo con le incisioni di Giovanni Battista Piranesi e con la pittura di Jusepe de Ribera, con Giorgio Morandi e con Mario Sironi (documentato nella mostra da dipinti originali), avrebbe dato nuovo slancio al suo occhio meccanico divenuto ora digitale. L’immagine fotografica è come la tela del pittore postmoderno: il luogo di raccolta di una complessità di immagini e di segni da comporre insieme per celare definitivamente l’oggetto scomparso.

Pubblicato in: 
GN45 Anno VIII 28 ottobre 2016
Scheda
Titolo completo: 

Mostra: MIMMO JODICE. ATTESA. 1960-2016

a cura di Andrea Viliani

Sede: Museo MADRE, Via Settembrini 79, 80139 Napoli

DAL 24.06 AL 24.10.2016