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Opera di Roma. L'Angelo dell'Espiazione
L’angelo di fuoco (Ognennyj angel), è un'opera in cinque atti e sette quadri con musica e libretto di Sergej Prokof’ev dall’omonimo romanzo di Valerij Brjusov: dal 23 maggio al 1° giugno è stato presentato all’Opera di Roma in un nuovo allestimento con la regia di Emma Dante e sul podio Alejo Pérez. La “prima” di giovedì 23 maggio, ore 20.00, è stata trasmessa in diretta da Rai Radio3 e in differita da Rai5 in data da definire. Direttore e regista si sono incontrati nuovamente su questo palcoscenico per un nuovo allestimento, come era già successo nel 2016 per La Cenerentola di Rossini (che sarà di nuovo in scena dall’8 al 13 giugno, questa volta con la direzione di Stefano Montanari).
L'opera di Prokofiev piu' controversa è approdata all'Opera di Roma nella terra dei Papi per la seconda volta dopo la prima del 1966: opera che l'autore non poté mai vedere messa in scena in quanto la prima in forma di concerto si ebbe a Parigi nel 1954 (un anno dalla morte il 5 marzo 1953) al Théâtre des Champs-Elysées: la prima vera e propria si ebbe invece in Italia a la Fenice di Venezia il 14 settembre del 1955 (per approfondimenti la mia presentazione qui).
L’angelo di fuoco (in russo non traslitterato: Огненный ангел; op.37), è un'opera in cinque atti e sette quadri con musica e libretto di Sergej Prokofev (1891 – 1953) ed é tratta dall’omonimo romanzo simbolista ed in parte autobiografico di Valerij Brjusov (1873-1924), pubblicato a puntate sulla rivista "Vesy" fra il 1907 e il 1908,. Ebbe una genesi articolata, tra 1919 e 1927. La stessa genesi dell'opera è in qualche modo demoniaca e legata ad episodi reali del periodo simbolista russo, ovvero il méage à trois tra Nina Petrovskaja, Andrej Belyi e Valerj Brjusov, da cui quest'ultimo trasse il romanzo - infarcito di magia nera e possessione diabolica su Renata, dal nome dell'ultima strega bruciata sul rogo, giovane isterica e "sganciata" dagli stigmi del tempo in fatto di sessualità declaratoria -, ed in cui Nina era, da una parte l'amante abbandonata da Heinrich/Belyi; dall'altra l'amante di Brjusov/Ruprecht, sfruttato per arrivare al primo, personificazione dell'Angelo di fuoco dal quale è ossessionata fin da piccola. Se pensiamo poi che il fuoco è "luce" - quindi oltreché "bruciare" anche ein senso metaforico, risveglia dal sonno, illumina e "chiarifica" - lo possiamo naturalmente connettere a Lucifero, il primo angelo caduto ed il piu' luminoso. La sessualità attiva di questa fanciulla, poi donna, contraddittoria e rivelatrice dalla presenza/assenza di questa visione dell'Angelo è, di tutta la trama, la 'parte' piu' scabrosa, ancora oggi.
Quando si parla di possessione - e c'è nero su bianco nel libretto - si chiama in causa la Chiesa, soprattutto nel medioevo nel quale è ubicata temporalmente la vicenda, e con essa la Santa Inquisizione, ed ecco le parole dell'Inquisitore (che Ruprecht addita come "lupi travestiti da agnelli", parlando dei monaci): "E' abbastanza noto che lo spirito delle tenebre spesso prenda l'aspetto di angelo della luce". Quindi noi abbiamo un personaggio principale, Renata, posseduta da un Angelo, non si sa se venuto da sotto o da sopra la terra, che ha delle visioni, una percezione alterata da schizofrenica ed un desiderio incessante di unirsi a quest'angelo, anche carnalmente. Il personaggio che le sarà accanto quasi fino alla fine è Ruprecht, cavaliere appena tornato dall'America in Germania e che incontra la donna in una locanda e ne ha compassione, oltreché desiderio. Naturalmente abbiamo il personaggio - muto come Heinrich - dell'Angelo di fuoco, Madiel, che viene materializzato dalla musica che circonda Renata e che è un tritono, un diabolus in musica. Madiel è impersonato da un ballerino di breakdance che piu' che librarsi verso l'alto, rotola verso il basso e si sdoppia in un angelo rosso, con una criniera d'iguana uguale alla sua per dirigere il duello tra Ruprecht e Heinrich. Una messe di personaggi leggendari gli fanno da contorno: da Agrippa di Nettesheim a Faust e Mefistofele come anche lo spacciatore di libri proibiti Jacob Glock.
Emma Dante, giustamente ha immaginato - come in realtà avviene alla fine dell'opera nell'atto quinto, lì si parla di una cripta infatti - che tutto avvenga in una catacomba, ovvero in un luogo tra i vivi e i morti; che Renata sia una specie di bambola vestita di rosa che è la famosa bambina imbalsamata della cripta dei cappuccini, quindi, forse, già morta; il resto dei personaggi escono dai loculi delle catacombe, come degli zombie; e vi rientrano anche, dopo aver giocato la loro parte. Un altro luogo immaginato da Dante insieme a Carmine Maringola che si è occupato appunto delle scene, è stata una libreria-antro degli alchimisti, dove sia Renata, sia Agrippa, sia Ruprecht, si incontrano per leggere dai libri antichi ed evocare gli spiriti. Una delle scene piu' rivelatrici è quella con Agrippa, in cui vengono immaginati i demoni come delle macabre Danae dai capelli oblunghi che ne celano il viso, nude creature simbolo di lussuria, introdotte nell'intervallo tra un quadro e l'altro. L'ultimo atto però, è il piu' rivelatore e quello che dà una chiave alla natura di Renata e a quella dell'Angelo. Renata, dopo esser stata accusata in convento dall'Inquisitore di essere posseduta dal demonio, viene condannata: a questo punto indossa una maschera che è l'aureola di raggi della Mater Dolorosa, la Vergine Maria, con un cuore con sette spade conficcate: immagine di profonda espiazione e dolore. L'Angelo rotolerà sulla scena per l'ultima volta per essere accolto dalle braccia di Renata/Maria Vergine come Gesu': perderà la vita in questo abbraccio e come il Dio fatto uomo verrà seppellito nella terra, quel ventre da cui è scaturito.
La visione de L'Angelo di fuoco di Emma Dante è rivoluzionaria nel senso che ha colto un significato inaspettato, legato alla sua terra natìa, alle sue tradizioni, che fa molto riflettere. L'opera è stata messa in scena con un cast superlativo: Renata, il soprano polacco Ewa Vesin, dall'inizio alla fine sulal scena, fa tremare i polsi: non ha avuto nessuna dififcoltà nel portare il personaggio - anche attorialmente - fino all'ultima scena: voce piena, caratura dai colori drammatici, rilucenti (ha rivestito anche la parte di Sieglinde in Valchiria a Poznan) che l'hanno fatta acclamare a ben ragione dall'intero pubblico del Costanzi. Ruprecht era il veterano Leigh Melrose, baritono specializzato nella produzione del Novecento: assolutamente da premiare per voce e personaggio sulla scena. Molto brava e magnetica Mairam Sokolova nella doppia parte dell'Indovina e della Madre Superiora. Agrippa era Sergey Radchenko mentre Faust, applaudtissima voce di Andrii Ganchuk che, insieme a Domingo Pellicola, provengono dal dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma. L'Orchestra, insieme alla direzione di Alejo Perez, hanno optato per una versione asciutta della musica, meno ridondante di altre ed attenta alle voci. Coro fuori scena diretto correttamente dal Maestro Gabbiani, soprattutto nel clamoroso finale.
Sala piena e grandissimo successo di pubblico per una novità a tutto tondo al Teatro dell'Opera della Capitale.