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Villa Giulia tra armonie rinascimentali e sfere pitagoriche
Nello scenario di incomparabile bellezza del Museo Nazionale etrusco di Villa Giulia, il 28 settembre 2013 si è svolta una delle serate del ciclo “Una notte al museo”: si tratta dell’apertura straordinaria per l’ultimo sabato del mese, dalle 20 alle 24. Il progetto prevede che le serate siano dedicate ai “cinque sensi più uno”. Il 28 settembre è andato così in scena L'udito, convogliando oltre mille spettatori e visitatori, che hanno potuto ammirare anche lo splendido ninfeo, attribuito a Bartolomeo Ammannati (il quale ha cooperato anche alla costruzione del palazzo del Collegio Romano, che oggi ospita il Liceo Classico “Visconti” e il Ministero dei Beni Culturali), nonché le varie collezioni di arte etrusca.
Rilevante nell’ambito della serata è stata la lezione che il professor Claudio Strinati, storico dell'arte esperto soprattutto del Rinascimento e del Barocco, ha tenuto sulla musica alla corte di Giulio III, il pontefice che fece costruire la villa alla metà del secolo XVI.
Strinati, correlando storia dell’arte e storia della musica, ha osservato come papa Giulio III avesse confermato Michelangiolo Buonarroti come architetto di San Pietro e il compositore Giovanni Pierluigi da Palestrina come direttore della cosiddetta cappella Giulia, ossia di quel gruppo di cantori che intonavano le musiche sacre nella basilica di San Pietro durante quelle cerimonie che non implicavano la presenza del papa, perché quest'ultimo disponeva di una sua cappella musicale personale, ossia la cappella Sistina. Nel 1551 Palestrina viene designato al nuovo incarico, in quanto considerato il musicista più importante dell’ambiente romano. Il papa poi per completare la villa convocò anche altri personaggi di rilievo, come Giorgio Vasari, il vero ideatore della villa e autore delle celebri Vite de' più eccellenti pittori, scultori, e architettori.
È seguito un concerto del cosiddetto Giuliana De Donno Ensemble. Il titolo, “Tria corda”, rimanda al fatto che viene compiuta un’incursione tra “Cuori, corde, ritmi e fiati” rileggendo con aderenza filologica la tradizione musicale dell’Italia merdionale (a cura dell’associazione ArcheoJazzNet); il concerto è stato gradevole, ma, a nostro sommesso parere, l’eccesso di aderenza alle sonorità della tradizione popolare ha forse nuociuto alla resa finale; avremmo immaginato, infatti, una maggiore presenza di suoni rinascimentali e barocchi.
Abbiamo poi seguito una delle cinque visite guidate, tenute da archeologi della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria meridionale, sul tema Musica inCanto. Si è trattato della visita dedicata al rapporto tra matematica e musica, sotto la sapiente guida di Francesca Licordari, che ha illustrato il rapporto tra la filosofia di Pitagora, l’arte etrusca e la musica. Pitagora è una grande figura di intellettuale “arcaico”, filosofo, matematico, musicista e fondatore di una scuola basata su riti iniziatici e sullo studio della matematica. La scuola era situata a Crotone, nella Magna Grecia, ma aveva forti rapporti con la cultura etrusca, soprattutto a livello di riti religiosi e di simboli mitologici. E le stesse regole di vita comunitaria (compresa la divisione tra discepoli cosiddetti “matematici”, che avevano accesso ai segreti più reconditi, e discepoli cosiddetti “acusmatici”, che non potevano accostarsi a tutte le dottrine), erano probabilmente ispirate a usanze etrusche. Non a caso nella città etrusca di Cortona si trova un mausoleo che in tempi relativamente recenti venne creduto essere la tomba di Pitagora (forse per una singolare assonanza tra Crotone e Cortona).
La Licordari ha insistito altresì sui rapporti tra Pitagora e la musica, sottolineando come egli avesse scoperto la differenza tra le varie altezze dei suoni ascoltando le vibrazioni prodotte da quattro martelli differenti sugli incudini nell’officina di un fabbro. Pitagora comprese così che l’accordo (ossia il suono simultaneo di più note) e la consonanza (il suono simultaneo di varie note che risulta gradevole all’orecchio umano) sono regolati da precise leggi matematiche. Le principali consonanze rispecchiano proporzioni tra numeri interi, in particolare tra le coppie ½, 2/3 e 4/3.
Del resto, musica e matematica per i pitagorici sono strettamente correlate: i rapporti armonici sono rapporti numerici, e non bisogna dimenticare che per loro i numeri sono il principio di ogni realtà: tutti gli enti dell’universo sono imparentati e correlati grazie a rapporti misurati e proporzionati, espressi dai numeri. Per loro non c’è una vera distinzione tra i numeri e le cose, per cui i fenomeni naturali sono inseriti in un ordine misurabile, il quale, al di là delle apparenze, manifesta una struttura numerica. Del resto, i numeri hanno una doppia natura, su cui si innesta quella musicale: aritmetica, come elementi del calcolo e delle operazioni, e geometrica, come rappresentazioni spaziali di figure composte di unità estese.
I numeri devono altresì essere finiti, perché solo il finito indica la completezza e la pienezza dell’essere, mentre l’infinito è simbolo di imperfezione, disarmonia e negatività, in quanto non rende possibile la misura. Ecco perché i pitagorici rimasero sconvolti dalla scoperta dei numeri irrazionali, al punto da bandire dalla loro comunità il matematico Ippaso di Metaponto, che aveva divulgato la scoperta. L’opposizione tra finito e infinito si traduce anche in quella tra pari e dispari: i numeri dispari sono perfetti perché in essi l’unità, il cosiddetto parimpari, costituisce il limite del processo di numerazione; i numeri pari sono invece imperfetti perché in essi non compare tale limite. Da quest’antitesi ne derivano altre, come quella tra maschio e femmina, destra e sinistra, luce e tenebre, ecc.
Tra i numeri pari, però, come ha ricordato la Licordari, fa eccezione il dieci, che esprime la perfezione in sommo grado: esso può infatti essere rappresentato come un triangolo equilatero avente quattro punti per lato. Si tratta di una figura, la sacra tetraktýs (τετρακτύς), che esprime un perfetto equilibrio, tale da racchiudere i primi quattro numeri dispari e i primi quattro numeri pari.
La Licordari ha poi concluso la sua illustrazione del pensiero di Pitagora sottolineando i suoi rapporti con l’orfismo e con il concetto di metampsicosi, nell’ambito del quale riveste un ruolo particolare la rilettura del mito di Dioniso: il dio così caro a Nietzsche nell'orfismo prende il nome di Zagreo, ossia “grande cacciatore”, fondamentale nella civiltà preagricola, dominata dai riti ctonii della terra originaria. Da Zeus, egli aveva ricevuto il dominio sul mondo, ma i Titani, figli della Terra, istigati dalla dea Era, unica e gelosa moglie legittima di Zeus, lo sbranano e ne mangiano le carni crude, ad eccezione del cuore, che la dea Atena recherà poi a Zeus, il quale poi lo avrebbe fatto mangiare alla dea Semele, sua amante, che avrebbe così dato a Dioniso una seconda vita, rigenerando appunto il dio dell'ebbrezza e del caos orgiastico.