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For You di Ian McEwan e Michael Berkeley. Un'aubade demonica per la creazione artistica
Il 25 e il 27 novembre 2010 è andata in scena al Teatro Olimpico di Roma l'opera da camera in due atti For You: il libretto è stato scritto da Ian McEwan, mentre le musiche sono dovute a Michael Berkeley. Connubio singolare ma non insolito quello tra un musicista affermato e un grande scrittore che diventa librettista d’opera: basti pensare a Maurice Maeterlinck, il cui Pelléas et Mélisande fu messo in musica da Maurice Ravel e Claude Debussy; alla collaborazione tra Hugo von Hofmannsthal e Richard Strauss; o a quella di Wystan Hugh Auden con Igor Stravinskij e Hans Werner Henze.
Si tratta della seconda collaborazione tra il compositore, figlio di un altro celebre musicista e allievo nonché figlioccio di Benjamin Britten, e lo scrittore; l’opera si è avvalsa della coproduzione dell'Accademia Filarmonica Romana e dell’Istituzione Universitaria dei Concerti, in collaborazione con il British Council. L’orchestra è l’Ensemble Roma Sinfonietta, diretta da Vittorio Parisi, specializzato in musica contemporanea.
La prèmiere di For You ebbe luogo nel 2008 a Londra, al Linbury Theatre della Royal Opera House, Covent Garden. Si tratta di una sorta di commedia noir adattata al teatro d’opera, con il tipico stile del grande scrittore inglese, di cui è appena uscita in italiano per Einaudi la traduzione dell’ultimo romanzo, Solar, con tematiche affini, benché trasposte nel mondo accademico e della ricerca. Dall’ossessione per il sesso all’esercizio forsennato del potere, dall’uso strumentale dell’arte e della cultura fino al grottesco e al comico espressi nel cinismo dei personaggi; sono tutte tematiche che costituiscono la cifra inconfondibile dell’ultima produzione di McEwan e fanno di For You uno spettacolo che lascia il segno.
Buona la prova dei cantanti, tra cui risaltano il soprano Piia Komsi, nei panni di Joan, il soprano Virginia Kerr, in quelli di Antonia, il mezzosoprano Harriet Williams come Maria e il baritono-basso Hector Guedes nella parte di Charles.
La trama è piuttosto lineare: il compositore e direttore d’orchestra Charles Frieth si appresta a mettere in scena la sua ultima opera per orchestra, dal significativo titolo di Demonic Aubade. È verosimile che il titolo Aubade alluda, da un lato, a un tipo di poesia di origine franco-provenzale, poi resa celebre dai poeti metafisici inglesi (celebre The Sunne Rising di John Donne), che si incentra sul momento in cui gli innamorati dopo una notte d'amore si separano allo spuntar del giorno. Dall'altro, allude all’aubade (o alborada, in spagnolo) come composizione musicale di carattere descrittivo, di solito a commento della separazione degli amanti (vi sono aubades ispirate a Romeo and Juliet di William Shakespeare e una sorta di aubade è presente nel secondo atto dell'opera Tristan und Isolde di Richard Wagner; celebre è anche l’Alborada del gracioso di Maurice Ravel).
I temi amorosi suggeriti dall’Aubade trovano riscontro nell’intensissima vita privata di Frieth, intento a collezionare nuove fiamme con la stessa frenesia compulsiva con cui compone le sue opere. L’ultima sua conquista è la giovane suonatrice di corno Joan Turville, sedotta con un assolo di 32 battute a lei dedicato, senza che il compositore si preoccupi più di tanto del fatto che la moglie Antonia, gravemente malata, sia in attesa di un intervento chirurgico. Alle vicende partecipano, in una sorta di singolare ménage à six, anche il medico di Antonia, Simon Brown, il segretario di Charles, Robin Fingest, e la cameriera polacca, Maria.
Nel primo atto si delinea già la personalità di Sir Charles Frieth, intento in una prova d’orchestra, allorché comincia a maltrattare la suonatrice di corno, accusandola di aver “steccato” una nota. Commenta il suo assistente, Robin: «Humiliation, then forgiveness, then seduction» («umiliazione, poi perdono, e infine seduzione»). Del resto, la stessa moglie, Antonia, che ormai ha accettato i tradimenti del marito, confida all'amico chirurgo, Simon, le sue insicurezze in attesa dell’operazione. In particolare, il suo timore per l’anestesia si combina con l’ansia provocata dal comportamento del marito. L’anestesia a cui dovrà sottoporsi viene comparata alla morte, con la citazione da una poesia di Philip Larkin non a caso intitolata Aubade: «If I wake. What did the poet write of death?/The anaesthetic from which none comes round» («Se mi risveglio. Cos’ha scritto il poeta sulla morte?/L’anestesia da cui nessuno torna»).
Nella quarta scena Charles viene ritratto nel pieno della sua eccitazione creativa: la Demonic Aubade viene concepita come “la summa sfrenata” di tutto il suo sapere («wild summation of all I know»), e in essa verranno inserite trentadue battute di una cadenza per corno, al fine di sedurre la giovane orchestrale. Con suprema abilità, McEwan mescola drammatico e grottesco: l’empito creativo di Frieth viene descritto con toni che fanno pensare ad Adrian Leverkühn, il protagonista del Doktor Faustus di Thomas Mann, mentre è intento a comporre la Lamentatio Doctoris Fausti; ma la posta in gioco è ovviamente molto minore, cosicché le tinte tragiche trascolorano rapidamente nella pochade.
Nella quinta scena, Frieth, dopo essersi informato da Maria della relazione tra la moglie e il medico, assume un atteggiamento ambivalente, oscillando tra la gelosia per Antonia e la sua propria infedeltà, fino a promettere alla domestica polacca di rimanere d’ora in poi fedele alla consorte. Maria però, in quello che chiama un “interludio psicotico”, interpreta questa promessa come una dichiarazione d’amore per sé stessa.
Il secondo atto comincia con una scena in cui Antonia, tornando cosciente dopo l’operazione che ha subito, si abbandona a rimpianti per i tempi della giovinezza, allietati dai sogni d’amore coronati dal matrimonio («On the border of memory and dreaming/I saw a couple on a London bridge/in an early evening slowstorm» – «Al limitare tra memoria e sogno/vidi una coppia su un ponte di Londra/sotto una nevicata a prima sera»), che presto però comincerà a incrinarsi, per la mancanza di figli e per le scappatelle di Charles, che daranno vita a una vera e propria “processione senza fine” (endless succession) di amanti. Il dolore di Antonia si tramuta in una vera e propria canzone, che costituisce il primo autentico squarcio lirico nella partitura di Berkeley, ben interpretato dalla soprano. Mentre la tenue nostalgia di Charles trova espressione in una citazione dalla Zauberflöte (Il flauto magico) di Mozart, che allude all’unione apparentemente inscindibile di due esseri umani (Mann und Weib und Weib und Mann – Uomo e donna e donna e uomo).
Nella seconda scena, il segretario del compositore, Robin, si duole per i tempi di consegna del materiale della nuova partitura, deplorando l’impossibilità di usare un computer, e sostenendo che con la sua Aubade “demonica” il compositore avrebbe tormentato l’alba anziché concedere un dolce saluto al sole che nasce. La scena si conclude con la seconda canzone dell’opera, affidata a Maria, ossia al mezzosoprano Harriet Williams, che ricorda per il tono mesto e suadente il “Canto alla luna” della Rušalka di Antonín Dvořák: in questo momento di afflato malinconico, la giovane polacca confessa il suo trasporto per il compositore, pensando nel contempo a un modo per allestirgli una gabbia amorosa “nella quale invecchiare dolcemente”.
E questo proposito culmina nella catastrofe della terza scena: Antonia è ancora ricoverata in ospedale, in condizioni stabili ma non tali da escludere complicazioni. Approfittando dell’assenza di Charles e di Simon, Maria strappa deliberatamente i tubi della macchina che tiene Antonia in vita, lasciando cadere il cappotto di Charles, dietro cui si era nascosta, e scomparendo nell’ombra. Si consuma così l’agonia di Antonia, che prima di spirare sussurra le parole: «I’m cold, so cold,/The house grows silent and cold» («Ho freddo, tanto freddo,/la casa diventa silenziosa e fredda»). Versi scarni, che ricordano certe atmosfere del primo Leonard Cohen (del disco “nero”, Songs of Love and Hate) o la “notte oscura dell’anima” di San Giovanni della Croce che permea i Quattro Quartetti di Thomas S. Eliot (e in particolare il secondo Quartetto, East Coker); o uno dei versi che Auden dedicò alla morte di William Butler Yeats: «The day of his death was a dark cold day» («Il giorno della sua morte fu un giorno oscuro e freddo»).
L’opera si conclude con l’ultima scena, in cui Charles, compiaciuto, sta provando la rappresentazione di Demonic Aubade, in vista della prima. Ma viene interrotto da due poliziotti che lo accusano di omicidio portando come prova il cappotto. Charles protesta la sua innocenza e chiede a Maria di confessare la verità: tuttavia, la giovane polacca non solo rifiuta, ma immagina di poterlo incontrare in carcere e di indurlo ad apprezzare il suo amore una volta che avrà espiato la pena. Tutto questo l’ha fatto per lui: «And I will wait – For you!» («E saprò aspettare – per te!»). In questa scena Charles espone anche la sua concezione dell’arte, chiaramente influenzata da Wagner e Nietzsche, in quelli che forse sono i versi più belli dell’opera:
The light of artistic creation is also blinding.
The artist can’t see the suffering
he causes to those around him.
[…]
He must be ruthless!
No religion, no purpose except this:
make something perfect before you die.
Life is short, art is for all time—
History will forgive my sins because
My music outstared the sun.(Anche la luce dell’arte è abbacinante.
L'artista è cieco al dolore che infligge
a chi gli è intorno.
[...]
L’artista deve essere spietato!
Non ha a guidarlo altra fede che questa:
realizzare una perfezione prima della morte.
La vita è breve, mentre l'arte è eterna -
Saprà la storia perdonare i miei errori
perché la mia musica ha guardato in faccia il sole. (trad.di Susanna Basso ed. Einaudi)
Al lettore di McEwan non possono sfuggire le analogie tra Charles Frieth e Michael Beard, il protagonista di Solar, uno scienziato rispettabile diventato uomo di potere che sfrutta l’alibi della sua passata genialità per rincorrere il piacere fine a sé stesso, senza nessun rispetto per le regole coniugali, e per costruire la sua carriera a danno di inesperti e giovani ricercatori. Allo stesso modo, Frieth non ha scrupoli e, di fondo, rimane l’impossibilità di fissare e di cristallizzare la verità: come nei sofisti e in Pirandello, ogni verità ha una natura ambigua e vani risultano tutti i tentativi per catturarla.
Né mancano riferimenti intratestuali ad altre opere di McEwan: ad esempio Amsterdam, in cui Clive, un famoso compositore britannico, è uno dei personaggi, e che si conclude in modo altrettanto drammatico; o Sabato, il cui protagonista è un neurochirurgo, Henry Perowne, che ricorda Simon. E ovviamente non si può non pensare ad Espiazione (Atonement), tema che ricorre sotterraneo in tutta la pièce. Ma più di ogni altra opera forse è L’amore fatale (Enduring Love) il romanzo di McEwan che contiene un personaggio simile a Maria: si tratta di Jed Parry, affetto dalla “sindrome di de Clérambault”, che lo induce a credere che il suo amore per un’altra persona sia ricambiato nonostante ogni evidenza in senso contrario.
In conclusione, un’opera di grande fascino, ben diretta da Parisi, anche se spesso la musica sembrava accompagnare con discrezione un testo che avrebbe potuto benissimo vivere di luce propria e che potrebbe andare in scena per un teatro di prosa. Benché lo stesso McEwan, nell’affollata conferenza tenuta all'Università di Roma “La Sapienza”, abbia affermato: “Come scrittore gioco a fare Dio. Ma come librettista sono piuttosto un angelo”.