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La pazza gioia. La normalità è sempre relativa
Paolo Virzì ha parlato di donne nel suo cinema, donne e lavoro, donne e realizzazione personale, donne e sentimenti, ma ne La pazza gioia, trionfo a Cannes, fa ancora di più, raccontando l'amicizia tra due anime femminili opposte ma alla fine tanto simili.
A Villa Biondi, residenza protetta nella campagna pistoiese per donne con problemi mentali e con la giustizia, Beatrice Morandini Valdirana, un'effervescente e mai banale Valeria Bruni Tedeschi vive male la condanna per bancarotta fraudolenta dopo che ha distrutto per amore di un mascalzone due patrimoni. Donatella Morelli, una Micaela Ramazzotti mai così brava, ragazza proletaria che ha dovuto rinunciare al suo bambino per una colpa che verrà fuori durante la storia, è silenziosa e cupa, ma diventa il contraltare perfetto dell'altra.
Tra due anime sole e opposte, ma alla fine accomunate dal desiderio di amore e considerazione, nasce la più improbabile delle amicizie: approfittando di un permesso di lavoro le due scappano, in cerca di un passato da recuperare e di una gioia da trovare anche fuori dagli schemi.
In un percorso che riecheggia i classici di Dino Risi ma anche i film on the road a stelle e strisce, primo fra tutti Thelma e Louise sia pure con esiti diversi, Beatrice e Donatella incontreranno parenti inadeguati, profittatori ma anche persone amiche e forse una speranza di una vita migliore. Tra la Toscana cara al regista e qualche altra scappata tra mantovano e Liguria, La pazza gioia parla di donne, di amicizia, di famiglie ricostruite, di sogni infranti e possibilità di ricominciare, di drammi e del tabù della malattia mentale, cosa scomoda ma presente, e del concetto di normalità, sempre relativo.
Un film che diverte, appassiona, commuove, lascia con un groppo in gola, racconta l'umanità e due donne e il loro mondo, così lontano ma anche così vicino a tante realtà, anche se non lo si vuole ammettere.