Supporta Gothic Network
Maggio Musicale Fiorentino. La sfera della Notte. Prima parte
Un’enorme sfera si illumina come a far presagire un altro mondo che verrà, mentre lenta cade la sabbia da una clessidra di un tempo vergine e caduco: sul palcoscenico la tragedia romantica dell'Azione “interiore” (Handlung, il sottotitolo originale) di Wagner irrompe per l'apertura del Maggio Musicale Fiorentino dal 30 aprile all'11 maggio, dopo 25 anni dall'ultima rappresentazione – era il 1999 –, ed ancora con Zubin Mehta alla bacchetta, insieme all'Orchestra del Maggio; Stefano Poda è alla regia di questa onirica rivisitazione magica, come se provenisse da un pianeta sconosciuto e avverso.
Come tutti i “Sacrati dalla notte” di Novalis riletto da Wagner come da Thomas Mann, Tristan und Isolde è un tutt'uno con questa sfera che dall'alto sembra numificare (nel senso di dare dei numi) alla loro storia senza tempo, medievale e catartica che ancora l'Occidente non scioglie in un amore che non sia funesto e irrorato dalle ferite interiori ed esteriori dei due amanti per antonomasia. La forza e la potenza, l’illusione ed il sogno, la notte, arcana e magica del Tristano (Tristan und Isolde, 1857-1859, la sua stesura interruppe anche quella della Tetralogia) – che Wagner trasse da un poema del XIII secolo del Minnesänger tedesco Gottfried von Straßburg – inizia come in un quadro di Caspar David Friedrich: Poda, finemente, decide di situarla in un non-tempo che scorre come una clessidra, un flusso continuo che cade dall'alto con un'enorme sfera sullo sfondo che da sole si trasforma in luna e in monolite (come nella genesi del mondo di Stanley Kubrick), immaginativamente immensa che sonda e riluce degli umori dell'Azione interiore di Wagner. Azione intesa nel signifcato che l'etimologia greca destina al termine: ovvero dramma (δρᾶμα, dramma, deriva da δράω, agire).
La sabbia che cade dall'alto, grama e inconsapevole, erige un monticiattolo bianco al centro della scena, mentre la nave al centro del primo atto è divisa in due: la parte sospesa accoglie Tristan – il tenore tedesco Torsten Kerl, bravissimo nella parte principale insieme ad Isolde; sotto, vicino alla sabbia che si erge lentamente, come qualcosa che copre e scopre allo stesso tempo, sorge Isolde, la Figlia d'Irlanda – la commovente Lioba Braun, nata nella terra dei Grimm, Hanau, della quale è sicuramente compartecipe nel tradurre sul palco le leggende sul filo dello Zeitgeist comune –, presentata da un marinaio che come un fantasma richiama i sospiri di lei per la perduta patria, mentre veleggia come promessa sposa del Re Marke in Cornovaglia.
L'enorme poppa che primeggia davanti a tutti, dove rimane Tristano finché non viene chiamato da Isolde, sotterranea come la notte, “consacrata” come lui a quell'indissolubile abbraccio che riveste l'intera opera di cromate sospensioni armoniche, un flusso che con la presenza del filtro diviene personaggio esso stesso di quell'unione infinita e atemporale dei due amanti, è una macchina che sovrasta e attende: lì sopra si stabiliscono azioni e divieti, i doveri di Isolde, figlia della Regina d'Irlanda, che va sposa “politica” a Re Marke, e a cui Tristan ha ucciso il fidanzato Morold. Sotto il nome di Tantris, ma riconosciuto da lei e per compassione salvato da morte certa, Isolde aveva soccorso Tristan in Irlanda, ripagata poi dallo sbandieramento della conquista da parte del cavaliere, in contrasto con la sua statura di nobile eroe, come afferma invece l'amico suo Kurwenal, che non conosce il precedente. Ora Tristan la viene a prendere per un altro, il suo vecchio zio Marke: questo Isolde racconta a Brangäne – Julia Rutigliano, adeguatamente nella parte ma senza eccellere –, la sua ancella. Le sue arti magiche, quelle che Isolde ha adoperato per salvare Tristan in Irlanda, saranno ora impiegate per vendicarla, e Brangäne dovrà portarle quel filtro di morte che spetta al cavaliere da cui fu tradita. Brangäne però scambierà il filtro di morte con quello d'amore per evitare la morte della cara padrona e a questo punto noi udremo quello che ci è stato presentato in tutta la sua potenza nel Vorspiel (Preludio): il desiderio estatico e struggente sciogliersi nella sua stessa brama, nel riconoscimento di quel che i due amanti avevano così a lungo celato. E l'ascolto – con l'emozionante prova di Zubin Mehta alla direzione della raffinata Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino – ci fa saggiare quanto il famoso “accordo del Tristano”, che come un fil rouge percorre l'intera Handlung wagneriana, acquisti carattere motivico in proprio, rappresentando per antonomasia quell'intrecciato dissolversi della tonalità che è il perfetto corrispettivo dell'emanciparsi dal mondo dei due amanti, per giungere al respiro della notte, che solo li ciba e gli permette di vivere sotto lo sguardo discreto della luna.
Sarà proprio la luna ad accoglierli nel celebre duetto del secondo atto, nel giardino irrorato di candore che ha preparato Stefano Poda sotto una luna abbacinante e adamantina: la parte centrale inizia infatti con l’invocazione alla notte “O sink hernieder, Nacht der Liebe” (Oh scendi quaggiù, notte dell’amore) e al Sogno d'amore che si presenta come Leitmotiv intessuto a quello di Frau Minne, personificazione dell'amore, sottolineando come questi ultimi siano inesorabilmente legati al Destino. Il dialogo prolungato tra Tristano e Isotta, il cui flusso è interrotto dalle interpolazioni costituite dagli ammonimenti della voce di Brangania e dall’anticipazione musicale del motivo del Liebestod, della Morte d’amore, determina il suo significato ‘poetico’ con le parole di Tristano “So starben wir, um ungetrennt, ewig einig ohne End’” (Così siamo morti: inseparati, eternamente congiunti, senza fine).
I Der Nacht Geweihte (da Novalis, vedi sopra: benedetto/destinato dalla notte, Geweihte), i “sacrati dalla notte”, come si proclamano in questa seconda scena Tristano e Isotta, e con essi l’esaltazione della notte, sono di natura strettamente romantica, per Wagner come per Novalis, e si collegano al mistero rituale dell’amore e della morte, rappresentati degnamente dai filtri, mentre il giorno è legato alla sterile terrestrità che mai potrà varcare la soglia dell’infinito e magico mondo originario. Un mondo che compie in sé stesso l’unione e l’affermazione della vita oltre ogni confine, oltre la morte per raggiungere l’immortalità: così come si legge nella Lucinda di Schlegel: “Noi siamo immortali quanto l’amore, unità eterna, per un mondo infinito e inscindibile”.
L’amore per Wagner, anticipatore anche in questo, e non solo musicalmente con la dissonanza del Tristano, è preconizzato in dilatazioni lunghissime del tempo per restituire al mondo interiore dei personaggi una pregnanza assoluta, quel tempo interiore di cui parlava Henri Bergson, o la mémoire involontaire di Marcel Proust, che in questo caso, al contrario che nel suo edificio Recherche du temps perdu, legata al ricordo, qui vive in un trascendente Presente, l'unico tempo conosciuto ai due amanti, che fa ardere un fuoco per annunciarli a quel mondo che non li riconosce.
I motivi del Sogno d'amore, dell'Estasi, del Desiderio, riportano a quella genesi del Tristano che appartenne all'inizio a Mathilde Wesendonck a cui Wagner dedicò i suoi Lieder: di cui ricordiamo due in particolare, "Träume" (Sogni), con il sottotitolo di “Studi per Tristan und Isolde”, in quanto usa un motivo che forma proprio il lungo duetto dell'atto secondo; mentre "Im Treibhaus" (A Treibhaus, la casa che accoglieva Wagner accanto a quella dei Wesendonck durante la sua relazione con Mathilde), vi è l'introduzione di un tema che farà parte del Preludio all'atto terzo, cui rimandiamo per la seconda parte del nostro approfondimento.