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Festival del Cinema di Roma 2010. Il grottesco vitalismo di Kill me please vince il Marc'Aurelio del Miglior Film
La commedia nerissima di Olias Barco Kill me please rompe gli schemi e vince il premio del Marc’Aurelio della Giuria al miglior film al Festival Internazionale del Film di Roma. La seconda prova di Barco al lungometraggio dpo Snowborder (2003), si presenta in un grottesco bianco e nero. Chi ha detto che il suicidio è un atto violento, un tema tabù su cui è preferibile non soffermarsi a discutere a lungo? Di certo non il Dottor Kruger - l'eccezionale Aurelien Recoing -, proprietario di una clinica sui generis (accuratamente isolata in un bosco) che ha deciso di rendere l’ardua decisione di porre fine alla propria vita un atto indolore per i propri pazienti, consono alla propria personalità e accuratamente assistito.
Ogni giorno nuovi casi estremi giungono al cospetto di Kruger per raccontare le loro storie e le loro ragioni. Non tutti possono essere accolti, ma con una buona somma di denaro e una convinta depressione esistenziale, le porte della clinica si aprono. Vi entrano personaggi famosi stroncati dal cancro, cantanti fallite in cerca di un ultimo momento di gloria prima di farla finita, professori depressi il cui ultimo desiderio è morire facendo l’amore con giovani “studentesse”, una grottesca star del rap capricciosa, e ancora piazzisti col passato enigmatico, cabarettisti berlinesi e giocatori d’azzardo che hanno perso la loro moglie (al gioco). Tutti sono accomunati dal desiderio di morire, nessuno col coraggio di affrontare da solo una morte dolorosa e indegna.
Ma di dignitoso nella morte indotta c’è ben poco. Il destino inizia a cambiare le carte in tavola e la vita si mostra finalmente per quella che è: incontrollabile, imprevedibile, violenta. Ed con questa surrealtà portata ai limiti estremi che si concretizza un realismo senza veli: la realtà nuda e cruda nella sua cattiveria, nei contrasti e nelle assurdità, come poche persone oggi hanno il coraggio di raccontarla. Chi è a un passo dalla morte è più vitale i chi trascina la propria esistenza senza essersi mai accorto di essere vivo, chi attende paziente il suicidio in clinica fugge terrorizzato al primo incendio nelle cucine, mentre desideri, impulsi, istinti inconfessabili vengono comunicati pian piano al Dottor Kruger come “ultimi desideri” dei futuri suicidi. E’ la prassi.
L’humor è nero, che più nero non si può. I perturbanti eros e thanatos di Luis Buñuel tornano nel 2010 in chiave grottesca, si fondono con ironia a doppio taglio dei Cohen e con la sregolatezza del nostro Marco Ferreri, a cui il regista Olias Barco ha dichiarato di essersi ispirato durante la cerimonia di premiazione del Festival Internazionale del Film di Roma. Poi si è lasciato alle spalle qualsiasi riferimento cinematografico ed ha dato vita ad un film fuori da ogni schema, politicamente scorretto e intriso di una vitalità che pochi si aspettavano di poter ritrovare in una clinica di suicidi. Quando i fragorosi applausi del pubblico hanno accolto la prima proiezione del film al Festival, molti hanno salutato con rammarico un “già cult”, la cui innovazione estrema sarebbe stata ancora una volta, con probabilità, causa di un isolamento critico e distributivo. Invece con un coinvolgimento del pubblico ancora più rumoroso e stupefatto, Kill me Please si è aggiudicato il premio del Marc’Aurelio della Giuria al miglior film e sul palco, tra Castellitto e la Gerini, la trans Zazie De Paris, interprete eccezionale nel film di Barco di una cantante d’opera fallita con capelli rosso fuoco, mette da parte il premio, chiede scusa per il fuori programma e intona la Marsigliese.